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MERCATI, prova di forza del capitalismo globale

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I parametri economici continuano a essere in miglioramento in Europa, e le condizioni monetarie si stanno normalizzando negli Stati Uniti. Nonostante le enormi pressioni populistiche-mediatiche sulle democrazie, è ancora troppo presto per scrivere il destino della zona euro e seppellire il capitalismo globale.

Così come nel 2016, le scadenze politiche sono seguite attentamente dai mercati finanziari, ma il loro impatto rischia di essere sopravvalutato. Dopo Spagna, Italia, Austria, tocca ora ai Paesi Bassi respingere la tentazione dell’estremismo politico ed economico. Il partito liberale olandese ha di fatto vinto la scommessa di arrivare in testa ai risultati elettorali e di essere in grado di formare una coalizione. Anche se i mercati non sono affatto preoccupati per l’evento elettorale olandese, questo voto dimostra che le tesi anti-europeiste sono ben lungi dall’essere condivise dalla maggioranza. Nessuno nega alcune inefficienze dell’Unione europea, ciò che gli inglesi ci hanno ricordato in occasione del referendum sulla Brexit, o le incoerenze di un’area monetaria (l’eurozona) in cui i livelli intrinseci di flessibilità delle economie sono divergenti. Tuttavia, tutti i parametri economici della zona euro sono in miglioramento (indici della fiducia, tassi di disoccupazione, accesso al credito, ricomparsa dell’inflazione, lieve revisione al rialzo degli utili delle imprese); da tre anni, il Pil della zona euro presenta un andamento superiore al potenziale teorico di lungo periodo, che si attesta all’1%. L’eurozona, che dal 2011 è abituata a essere una fonte continua di crisi d’ansia sistemica, oggi potrebbe tornare a risultare un’area interessante in cui investire, a condizione che l’ultimo ostacolo politico sia superato senza troppi problemi. Pertanto, le elezioni presidenziali francesi appaiono ormai come l’ultimo evento cruciale da monitorare ai fini dell’andamento dei mercati finanziari. In questa fase i sondaggi, per quanto abbiano una valenza ridotta, non evidenziano un’alta probabilità di vittoria elettorale di un partito estremista, e ancora meno quella di ottenere una maggioranza parlamentare in occasione delle elezioni legislative di giugno.
 
Negli Stati Uniti, la Federal Reserve ha di fatto decretato la fine della politica monetaria accomodante degli ultimi dieci anni, annunciando un nuovo rialzo dei tassi dello 0,25%, spostando il tasso sui fed funds nel range 0,75% – 1%.
L’economia statunitense è tornata a registrare un momentum più positivo rispetto all’ultimo trimestre del 2016. A sorpresa, e smentendo tutte le previsioni dei media, l’elezione di Donald Trump ha consolidato la fiducia dei consumatori e quella degli investitori statunitensi. Tuttavia, le prime misure decisive (riduzione delle imposte, stimoli fiscali in particolare in termini di infrastrutture) devono ancora essere sottoposte all’iter legislativo (il congresso). Una delle difficoltà sarà probabilmente rappresentata dalla tolleranza dei repubblicani nei confronti dell’ennesimo innalzamento del tetto del debito pubblico. In Europa, la Bce non ha ancora deciso di aumentare i tassi di riferimento, nonostante le pressioni della Germania. Ha però rivisto al rialzo le aspettative d’inflazione per il 2017 (1,7%), pur riscontrando che la crescita dei salari reali non è ancora a un livello accettabile. A seguito di questa comunicazione un po’ meno “accomodante”, i tassi di interesse hanno registrato un aumento. La divergenza tra le due politiche monetarie non pare sostenibile, tanto più che sta iniziando ad avere un impatto troppo significativo sull’andamento reciproco delle valute (euro e dollaro). Il rialzo dei tassi sembra ormai inevitabile, sia a causa del migliore andamento delle economie che del desiderio da parte delle banche centrali di tornare a un certo rigore finanziario.
 
I livelli delle valutazioni dei mercati azionari europei scontano il proseguimento della ripresa economica, mentre i prodotti obbligazionari sono ancora sotto la minaccia di un rialzo dei tassi nel segmento breve e/o lungo della curva.
Le ultime pubblicazioni delle società confermano il miglioramento microeconomico. In Europa, i livelli delle valutazioni dei mercati azionari sono in linea con la media storica. È quindi importante evitare le trappole a livello di valutazioni e selezionare accuratamente quei settori in grado di riservare sorprese positive in termini di crescita dei profitti. La tematica value e quella delle società large-cap francesi ed europee (in particolare del Sud Europa) devono essere riconsiderate nelle allocazioni. Inoltre, nell’ambito dell’asset class obbligazionaria è ancora indispensabile mantenere portafogli con duration corta. Infatti tra il 1990 e il 2016, a livello globale il settore obbligazionario è passato da un rendimento medio ponderato del 9% all’1,6%, e da una duration obbligazionaria media ponderata da 4,7 a 6,9. In questo contesto, anche se la liquidità e le obbligazioni a breve scadenza non offrono rendimento, è preferibile conservarle in portafoglio per cogliere le opportunità in prospettiva futura, quando la curva dei rendimenti si muoverà.
 
a cura di Igor de Maack, gestore di Dnca

  

21/03/2017 | Categorie: Investimenti Firma: Redazione