Non tutti i mali vengono per nuocere. La spinosa vicenda sui derivati che vede coinvolta Goldman (e la lista dei nomi eccellenti sotto inchiesta della Sec è destinata ad allungarsi tra cui notizie degli ultimi giorni è anche l’inquisizione da parte del governatore di new York Cuomo di colossi bancari europei quali Deutsche Bank, Ubs e Credit Agricole) quanto meno potrà dare una spinta a quella riforma del settore finanziario in agenda dallo scoppio della crisi, ma ancora assai lontana dal concretizzarsi. Hanno preso la palla al balzo i rappresentanti democratici al Congresso Usa.
Christopher Dodd, chairman del Senate Banking Committee, ha tuonato ieri che la riforma caldeggiata dai democratici «avrebbe prevenuto il genere di comportamenti che sono alla base dell’accusa di frode mossa dalla Sec contro Goldman. Ostacolando la proposta di legge – ha aggiunto – lasciamo i cittadini in balia di quelle stesse pratiche che hanno generato la crisi». Più pacate, ma sulla stessa linea, le dichiarazioni di Michel Barnier, commissario Ue al Mercato interno, che ha sottolineato come la vicenda Goldman (le imputazioni, ha detto, se rispondessero al vero «sarebbero illegali e incomprensibili») rafforzi la convinzione che l’Europa debba agire sul nodo derivati.
Che l’affaire Goldman rappresenti una tappa epocale, un punto di non ritorno, è testimoniato anche dal fatto che i premier di Gran Bretagna e Germania, abbiano sentito il bisogno di intervenire. Certo, in Italia non ci sono state Rbs o Ikb da salvare, ma in tale quadro stona, forse, il silenzio di Mario Draghi e Giulio Tremonti.