All’inizio dell’estate una serie di fattori faceva pensare che i mercati finanziari avrebbero attraversato i temporali d’agosto con l’autopilota, più o meno impassibili nei loro livelli medi, sebbene con più volatilità. E più o meno così è andata così, ma d’ora in avanti potrebbe giustificarsi qualche preoccupazione in più.
I mercati e il timore recessione
Innanzitutto parliamo di ciò che tutti stanno citando a gran voce nell’ultimo paio di mesi: del possibile arrivo di una nuova recessione. Non soltanto chiunque abbia letto qualche sacro testo di economia sa che molto spesso le aspettative si auto-realizzano, ma, pur volendo mantenere uno sguardo all’economia globale (sempre più interconnessa) non possiamo perdere di vista quel che accade a casa nostra: l’Europa di fatto ci è già caduta, se non ancora in una vera recessione, quantomeno in una perniciosa stagnazione.
L’allarme lanciato dalla Germania
La Bundesbank nell’ultimo rapporto di agosto scrive proprio che teme un arretramento del PIL anche nel terzo trimestre in Germania (che equivale a una recessione conclamata) con la conseguenza che anche il resto dell’economia europea entrerà in recessione. Non stupisce che le borse continentali non abbiano tardato a marcare il loro disappunto al riguardo.
La grande paura europea
A supporto dei timori di recessione europea (anticipatamente rispetto alle altre economie) non sono soltanto le aspettative, ma anche gli indici relativi ai consumi, alla produzione industriale e alla fiducia degli operatori. E soprattutto il profondo rosso dei rendimenti azionari ed obbligazionari, con la quasi matematica certezza che i rendimenti negativi di mutui e obbligazioni significhino sempre più spudoratamente che l’attesa di deflazione è oramai ampiamente diffusa.
Il rischio deflazione
Il pericolo di deflazione è un anello importante della catena di elementi che possono provocare la recessione perché l’attesa di prezzi più bassi per il futuro deprime gli investimenti e lo stesso succede quando i rendimenti dei titoli a reddito fisso vanno sotto lo zero: la gente preferisce detenere liquidità.
La trappola della liquidità
Novant’anni fa il celebre economista John Maynard Keynes teorizzò la cosiddetta “trappola della liquidità”, quando la politica monetaria (aumentando la moneta in circolazione e riducendo i tassi) non riesce più ad influenzare in alcun modo la domanda aggregata e quindi nemmeno la crescita economica. La spiegazione di tale trappola risiede nel gioco al ribasso delle aspettative di eventi negativi (deflazione, caduta dei rendimenti, timori, eccetera) che impediscono agli operatori economici di rimanere influenzati positivamente dalla maggior disponibilità di moneta, lasciando loro preferenza per la liquidità.
La situazione attuale
Quello attuale sembra dunque un caso da manuale, in cui c’è da attendersi una spirale negativa e l’inefficacia dei prossimi stimoli monetari, anche a causa di un “output gap” negativo dell’intero mondo occidentale (cioè recessivo: quando l’offerta supera decisamente la domanda di beni e servizi).