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Joe Colombano: “Alle radici
della rivoluzione green”

Dalla scrittura degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile (SDGs) al futuro dello sviluppo sostenibile, l’economista racconta la sua view sul tema ripercorrendo anche la sua lunga e brillante esperienza professionale

Intervista esclusiva a uno dei protagonisti della scrittura degli SDGs all’ONU

Joe Colombano è uno dei protagonisti di quella “Rivoluzione green” che oggi campeggia sulle prime pagine dei giornali, ma affonda le radici in un grande lavoro delle istituzioni internazionali che hanno sospinto il cambiamento nell’economia reale e, più di recente, anche nel mondo della finanza. Joe ha partecipato direttamente al processo, rappresentando l’Ufficio del Segretario-Generale Ban Kimoon nella preparazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (meglio noti come SDGs, Sustainable Development Goals) e coordinando la strategia politica dell’ONU per arrivare all’accordo intergovernativo del 2015 sulla loro adozione a livello globale. Italiano di nascita ma dall’animo ed esperienza internazionale, Joe oggi è Consigliere di MainStreet Partners, investment advisor con sede a Londra specializzato in investimenti sostenibili e ad impatto sociale ed ambientale, fondato nel 2008 da Rodolfo Fracassi. MyAdvice lo ha intervistato per esplorare il suo percorso d’eccellenza e avere la sua impressione sull’attuale focus globale in materia di sostenibilità, che sta interessando in modo particolare il mondo finanziario.

Lei ha guidato il team delle Nazioni Unite che ha creato gli ormai celebri SDGs. Cosa le è rimasto più impresso di quegli anni?

Innanzitutto la coscienza di lavorare per una causa comune della portata degli SDGs, l’agenda internazionale per lo sviluppo sostenibile, e la responsabilità di contribuire alla sua realizzazione. In questo senso ciò che mi è rimasto maggiormente impresso è la forza ed efficacia del multilateralismo, inteso sia come espressione della volontà della comunità internazionale di affrontare sfide di rilevanza globale, sia come insieme di politiche e pratiche per superarle. Ci tengo a sottolineare che gli SDGs sono il risultato di una negoziazione intergovernativa, non l’idea di una sola persona o di un solo team, neanche di quello del Segretario Generale. Nessuna organizzazione, né tantomeno un individuo, da sola è in grado di imporre un’agenda come quella degli SDGs senza la leadership dei governi dei paesi membri delle Nazioni Unite. Ne’ tali governi possono prendere posizione senza consultare le parti sociali dei loro paesi, inclusi la società civile e il mondo degli affari e dell’industria. La lezione che ne ho tratto è che le soluzioni a sfide globali come il cambiamento climatico o l’eradicazione della povertà devono essere cercate con un processo globale inclusivo, forte delle voci, opinioni e contributi di tutti, per bilanciare questioni economiche ed equilibri geopolitici. In questo momento storico di sovranismi e insularismi mi pare sia importante ricordarlo.

Avendo lavorato al fianco di Ban Ki-Moon, ci sono particolari aneddoti che vuole condividere con i lettori di MyAdvice?

È risaputo che il ruolo di Segretario Generale sia particolarmente delicato. Nella comunità diplomatica si scherza che sia il peggior incarico all’interno del Palazzo di Vetro, con il malcapitato alla merce’ dei paesi più potenti, spesso costretto ad essere più ‘segretario’ che ‘generale’. Di fatto il ruolo richiede un continuo e paziente equilibrio tra l’esercizio della leadership della comunità internazionale e il perseguimento di compromessi per mantenere il supporto politico. Ban Ki-moon è stato talora tacciato, soprattutto in occidente, di essere più predisposto al compromesso che alla leadership. In realtà ha spesso saputo fare entrambe le cose, a volte accettando un compromesso per poi trasformarlo in occasione di leadership, per quanto sottovoce e dietro le quinte, in sintonia con la sua personalità. Ricordo in particolare un incontro a Davos con l’allora Primo Ministro inglese David Cameron, nelle fasi iniziali del processo che portò poi agli SDGs. Cameron, neo eletto, era stato l’unico leader occidentale ad aumentare il budget per gli aiuti economici internazionali nonostante l’impatto della crisi economica e finanziaria globale di quegli anni. Per questo rivendicava un ruolo sulla definizione della nuova agenda per lo sviluppo sostenibile e voleva essere nominato a capo della Commissione istituita dal Segretario Generale per dare le linee politiche guida al processo degli SDGs. Sebbene fosse problematico avere il leader di un ex impero coloniale in un ruolo così influente, Ban accettò ma nominò al fianco di Cameron anche i presidenti di Indonesia e Liberia come contrappeso. Inoltre, in incontri successivi a Londra e Monrovia, Ban fece sì che Cameron accettasse il concetto che la nuova agenda internazionale non si limitasse solo a decidere come allocare gli aiuti che l’occidente porta ai paesi in via di sviluppo, ma riguardasse invece le economie di tutti i paesi, compresi quelli avanzati come il Regno Unito, nel riconoscimento della natura globale del problema sostenibilità. Era così nato il principio dell’universalità degli SDGs, forse il più rivoluzionario nell’ambito dei negoziati internazionali di questo tipo, e determinante nell’attribuire legittimità e credibilità all’agenda. Non male per un SG considerato “soft”!

Oltre al suo impegno con le Nazioni Unite, qual è stato il suo percorso professionale?

Ho fatto parte dell’Ufficio Esecutivo del Segretario Generale dell’ONU per circa 10 anni, ma nasco economista: mi sono occupato in particolare di mercati emergenti, dedicandomi alla finanza per lo sviluppo, prima alla Banca Mondiale a Washington e in seguito a Londra, alla Banca Europea for la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS), anche come membro del suo Consiglio di Amministrazione. Ho sempre nutrito grande interesse per le problematiche dello sviluppo, che ho avuto modo di constatare di persona, ad esempio quando ho vissuto a Bangkok durante la crisi asiatica del 1998, o a Kinshasa come consulente alla Banca Centrale della Repubblica Democratica del Congo all’indomani della crisi iperinflazionistica di quegli anni. Tra le esperienze che considero più formative c’è quella di banker della BERS, nella strutturazione di operazioni di project finance nel settore delle infrastrutture nei paesi dell’ex Unione Sovietica. È in quel ruolo che ho avuto modo di imparare come la finanza possa contribuire a obiettivi non solo di profittabilità, ma anche di impatto sociale e ambientale.

Come definirebbe gli SDGs in breve?

Gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, o Sustainable Development Goals (SDGs), sono un’agenda globale per migliorare le condizioni di vita di tutti in armonia con il pianeta. People and planet è il mantra degli SDGs. Gli obiettivi traducono in misure concrete l’impegno formale preso da tutti i 193 paesi membri dell’Organizzazione delle Nazioni Unite alla realizzazione del progresso umano, inteso come sviluppo economico (compresa l’eradicazione della povertà), uguaglianza e inclusione sociale, protezione dell’ambiente, rispetto dei diritti umani e sostegno alla pace.

Ma in che modo hanno costituito un’innovazione, a differenza delle agende internazionali precedenti?

La grande innovazione degli SDGs sta nell’aver finalmente superato la mentalità post-coloniale che dagli anni ‘50 in poi ha diviso il mondo in paesi ricchi e paesi poveri, paesi sviluppati e in via di sviluppo, paesi donatori e beneficiari della cooperazione internazionale. Con gli SDGs si riconosce che molte delle sfide contemporanee sono globali e richiedono l’intervento ed il contributo di tutti i paesi. Questa universalità della nuova agenda ha portato a scegliere un ampio numero di obiettivi per affrontare in modo completo le numerose sfide della sostenibilità nei diversi contesti. Di conseguenza la loro realizzazione richiede un nuovo modo di collaborare: si dovrà promuovere una nuova Alleanza Globale per lo sviluppo sostenibile, che unisca governi, settore privato, società civile e comunità internazionale.

Come dicevamo, anche il settore finanziario ha iniziato ad interessarsi agli Obiettivi di Sviluppo. In che modo tale industria sta contribuendo alla loro realizzazione?

Il mondo finanziario ha compreso che esiste un nuovo e importante mercato fatto di consumatori che chiedono prodotti e servizi per rispondere ad una nuova sensibilità economica, sociale e ambientale. Questo si riflette nei consigli di amministrazione, tra i manager e gli azionisti che puntano al purpose oltre che al profit, non solo per ragioni reputazionali, ma perché comprendono che esiste un mercato disposto a retribuire i valori aziendali. Questo fenomeno non è più solo di nicchia. Il valore di questo settore è attualmente stimato intorno a 31.000 miliardi di dollari. Nell’agosto di quest’anno ha fatto clamore l’annuncio della Business Roundtable, il Gotha del capitalismo americano, che ridefinisce come lo scopo ultimo di una corporation non sia esclusivamente l’interesse dei suoi azionisti, come da sempre è stato, ma il beneficio di tutti i suoi stakeholders, inclusi dipendenti, clienti, fornitori e la comunità in generale. Naturalmente, le buone intenzioni non bastano, e un serio programma in supporto a questo nuovo modo di fare business dovrà necessariamente includere regole comuni, nonché regolamentazioni e leggi a tutela dei consumatori, per distinguere chi davvero fa finanza sostenibile da chi semplicemente approfitta dell’interesse che si è creato intorno alla sostenibilità e alla “green revolution”. Nel frattempo la scommessa degli SDGs è che questa nuova sensibilità continui a crescere fino a rimpiazzare interamente i mercati tradizionali, facendo emergere come futuri leader gli operatori che meglio sapranno rispondere a questa nuova domanda. Investimenti