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Consulenza, i clienti
credono sia gratuita

Il report della Consob fornisce un contributo al dibattito attraverso un’analisi qualitativa delle percezioni degli investitori in merito al valore della consulenza e del robo advice

Il trend emerge dal quaderno Consob

La quasi totalità degli investitori che ricevono consulenza non è consapevole del fatto che il servizio ha un costo e, nella maggior parte dei casi, non sarebbe disposto a pagarlo. Tra coloro che, invece, sono consapevoli di pagare per il servizio ricevuto, la maggior parte non conosce l’entità del costo sostenuto né le modalità di retribuzione del consulente. Qualcuno ritiene che il cliente paghi solo se le performance dell’investimento consigliato sono positive, altri ritengono che il consulente guadagni su tutte le operazioni che fa eseguire per conto del cliente e, comunque, in ogni caso. Il dato emerge da una ricerca di Consob su valore della consulenza finanziaria e robo advice.

Remunerazione al pari con i ricavi

La modalità più auspicata è una remunerazione commisurata ai rendimenti del cliente, perché in grado di allineare gli interessi del professionista con quelli dell’investitore («sul guadagno sarebbe ottimo perché hai la certezza che sta lavorando per te»; «e sarebbe un incentivo»; «sarebbe giusto che anche loro perdessero qualcosa se io perdo»), sebbene qualcuno auspichi un correttivo che tenga conto del fatto che il consulente non può essere ritenuto interamente responsabile in ogni caso delle performance di portafoglio («ma se il mercato va male non è colpa sua»; «potrebbe essere un fisso dato dalla banca»). Rimane comunque una certa reticenza a discutere del tema (verosimilmente perché il costo del servizio è percepito come una perdita secca), tanto che qualcuno non avverte l’esigenza di ricevere un’informativa chiara («non lo voglio vedere, non mi piace, non è un libero professionista»); in altri casi si è disponibili a pagare e a ricevere un’informazione dettagliata solo a certe condizioni («ma a me non dà fastidio se fanno più degli altri – se le performance sono migliori di quelle degli altri (NdR)»).

Gli investitori autonomi

Tra gli investitori che scelgono in autonomia, la percezione dei costi associati alla sottoscrizione di un prodotto e all’investimento in generale non è omogenea: tra i profili meno sofisticati c’è chi sostiene di non pagare nulla ovvero fa genericamente riferimento a ‘costi bancari’. Questa diversità di opinioni si coglie anche rispetto alla percezione dei possibili costi della consulenza automatizzata. Alcuni intervistati si rendono conto che anche una piattaforma di robo advice ha un costo e che il modello ibrido è necessariamente più costoso di quello ‘puro’. Altri, soprattutto tra coloro che non sono assistiti da un consulente dedicato, hanno difficoltà a prefigurare un modello di pricing che sia sostenibile per il provider e per il cliente.

Le preferenze di pagamento del servizio

In particolare, nel corso dell’intervista vengono indicate diverse soluzioni: una percentuale fissa sul patrimonio investito, magari decrescente al crescere del patrimonio («ma il costo si può abbassare o annullare o in base a quel che investi… non so fino a 20.000 euro non paghi; paghi da 100.000 euro»); una percentuale sulla performance dell’investimento, solo se la performance è positiva («hai potenziale notevole a dare questa garanzia, se guadagni tu guadagno io»); una commissione fissa maggiorata di una percentuale sulla performance positiva dell’investimento («una cifra fissa che va fatta pagare… se no non guadagnano nulla, un minimo (…) se i mercati crollano per sei mesi non è l’algoritmo che non ha funzionato, che fanno chiudono?»); una commissione inclusa nelle commissioni sui prodotti sottoscritti («ci saranno commissioni di prodotto di entrata»);  nulla, in contropartita dei dati personali forniti al robo advice («magari una questione di dati… li rivendono… oggi la risorsa più preziosa sono i dati»).