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CSRD e rendicontazione: accelera la strategia ESG, le aziende si adeguano

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Nuovi obblighi di rendicontazione, la direttiva CSRD

A partire dal 2024, più aziende saranno tenute a rendere conto dell’impatto ambientale, sociale ed economico utilizzando standard europei uniformi: le eccezioni includono solo le piccole e medie imprese non quotate e non facenti parte di gruppi.

La nuova Direttiva UE 2022/2464, nota come CSRD, espande il numero di aziende coinvolte rispetto alla precedente NFRD, passando da circa 11.700 a circa 49.000, con l’obiettivo di migliorare l’informativa di sostenibilità e integrarla più strettamente nei bilanci aziendali. In particolare, la Direttiva CSRD non solo si prefigge di equiparare la rilevanza dei risultati ESG con quelli riportati nel tradizionale bilancio civilistico, ma di riconoscerne la naturale connessione. La normativa mira inoltre a garantire una rendicontazione uniforme sulla sostenibilità, riconoscendo l’importanza dei rischi ambientali, sociali ed economici per gli investitori e la trasparenza nei mercati finanziari.

In Italia le aziende coinvolte nella nuove direttiva saranno circa 4.000: fino ad oggi, nel nostro Paese, l’obbligo di rendicontazione esiste unicamente nella DNF, la dichiarazione non finanziaria cui sono soggetti gli enti di interesse pubblico, quali per esempio assicurazioni e banche di qualsiasi dimensione e le aziende quotate con almeno 500 dipendenti. Entro luglio 2024, la Camera e il Senato sono chiamati ad recepire due direttive: la Direttiva Corporate Sustainability Reporting Directive, cosiddetta CSRD, e la Corporate Sustainability Due Diligence, CSDD, concludendo l’iter di adozione da parte degli Stati membri.

CSRD, le aziende coinvolte

La Corporate Sustainability Reporting Directive entra in vigore nel 2024 con il primo reporting previsto per il 2025, e trova la sua applicazione negli enti di interesse pubblico, inclusi gli emittenti di valori mobiliari quotati e istituti bancari e assicurativi con più di 500 dipendenti o specifici limiti finanziari.

Nel 2026, si estende alle grandi imprese che superato almeno due dei seguenti criteri: 250 dipendenti, uno stato patrimoniale superiore ai 20 milioni di euro e ricavi netti superiori ai 40 milioni di euro. Dal 2027 la normativa coinvolgerà le PMI quotate che rispettino almeno due dei seguenti requisiti: 10 – 250 dipendenti; ricavi netti compresi fra i 700.000 euro e 40 milioni, uno stato patrimoniale tra i 350.000 e 20 milioni di euro. Sono, inoltre, ricompresi gli istituti di credito di piccole dimensioni non complessi e le imprese di assicurazione dipendenti da un gruppo.

Cosa cambia con la CSRD

Le principali novità introdotte dalla CSRD, che diverrà la normativa di riferimento nell’ambito dell’integrazione e della rendicontazione della sostenibilità delle aziende europee, riguardano l’obbligo di conformità, ovvero che la revisione del report di sostenibilità venga effettuata da un auditor accreditato, la digitalizzazione delle informazioni contenute nei report, l’inclusione dell’informativa di sostenibilità all’interno della relazione sulla gestione e non in un documento separato, l’adozione di un unico standard di rendicontazione (per le PMI saranno introdotti standard specifici, tenendo conto delle loro caratteristiche). Fra i principi cardine della direttiva:

  • la doppia materialità: una questione di sostenibilità diventa rilevante per un’azienda quando rispetta i criteri definiti per la rilevanza dell’impatto o della rilevanza finanziaria, o entrambe: le aziende dovranno fornire informazioni sulla sostenibilità sia riguardo all’impatto delle loro attività sulle persone e sull’ambiente (approccio inside-out), sia sul modo in cui i fattori di sostenibilità influenzano loro e i loro risultati (approccio outside-in).
  • l’inserimento dei rischi ESG nel sistema di gestione del rischio: per adattarsi alla varietà dei rischi emergenti e al crescente interesse degli investitori per le loro implicazioni finanziarie, le aziende dovranno integrare, all’interno del loro modello di gestione dei rischi, questioni legate al clima e all’ambiente, come la perdita di biodiversità e problematiche sociali e sanitarie, incluse quelle relative al lavoro minorile e forzato.
  • l’inserimento degli aspetti ESG nella catena del valore: le aziende devono non solo considerare il campo di applicazione del bilancio, ma anche includere informazioni sugli impatti significativi, rischi e opportunità lungo l’intera catena del valore, sia a monte che a valle. Questo comprende risultati di analisi di materialità e attività di due diligence, come previsto anche dalla proposta della nuova direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence.

A luglio 2023 la Commissione Europea ha approvato il primo insieme di standard comuni, detti ESRS (European Sustainability Reporting Standards), per la redazione del report di sostenibilità come previsto dalla nuova direttiva CSRD. Gli standard sono stati progettati per essere altamente interoperabili con i GRI Standards e rifletteranno gli obblighi informativi stabiliti dalla “tassonomia verde EU” e dalla “Corporate Sustainability Due Diligence“. Il primo set comprende 12 standard, dei quali due sono di ambito generale sui requisiti e le informative e dieci sono focalizzati su specifici argomenti ambientali, sociali e di governance: 5 riguardano l’ambiente e comprendono il cambiamento climatico, l’inquinamento, le risorse idriche e marine, la biodiversità e gli ecosistemi, le risorse e l’economia circolare; 4 riguardano i temi sociali, come lavoratori propri, lavoratori della catena del valore, comunità interessate e consumatori finali, mentre uno riguarda la governance, la condotta aziendale. La direttiva CSRD prevede che l’EFRAG (European Financial Reporting Advisory Group) continui a lavorare per emettere ulteriori standard specifici per settore (sector-specific).

Società benefit italiane in aumento

Dal 2016, l’Italia ha introdotto le Società Benefit come un’evoluzione del concetto tradizionale di impresa. Questa forma giuridica offre agli imprenditori, manager, azionisti e investitori la possibilità di preservare la missione aziendale e distinguersi sul mercato attraverso una struttura legale innovativa incentrata su valori etici e sociali. Le Società Benefit includono, oltre alla ricerca del profitto, l’obiettivo di avere un impatto positivo sulla società e sull’ambiente e, per garantire la trasparenza delle loro attività, sono tenute a redigere e pubblicare una relazione annuale sull’impatto da allegare al bilancio.

Negli ultimi anni, in Italia, il numero di società benefit è aumentato significativamente, raggiungendo 3600 entità entro la fine del 2023, con un incremento di circa mille rispetto all’anno precedente. Questo trend solleva la domanda su cosa spinga gli imprenditori a scegliere questa forma giuridica: la decisione di costituire o convertire una società in una società benefit può rappresentare un’opportunità per ridefinire il “purpose” aziendale, la cultura organizzativa e rivedere prodotti e processi, con l’obiettivo di coniugare il profitto con la creazione di beneficio comune.

Integrare la sostenibilità in azienda, i principali vantaggi

Le aziende che integrano progressivamente la sostenibilità nei loro processi decisionali possono beneficiare dei vantaggi legati al valore aggiunto percepito e in linea con le crescenti aspettative dei consumatori, nonché godere di una maggiore fidelizzazione nel lungo periodo. La crescente domanda di prodotti sostenibili, inoltre, può portare a una crescita del business e all’incremento dell’occupazione, oltre a stimolare la competitività aziendale.

Le aziende con migliori performance ambientali, sociali e di governance (ESG) sono considerate più solide dagli istituti di credito, che considerano la sostenibilità come un criterio importante nella concessione di finanziamenti. In particolare, le imprese che integrano nel proprio modello di risk management i rischi connessi ai fattori ambientali, sociali e di governance, verosimilmente saranno più preparate a far fronte alle minacce che arrivano dall’esterno e a garantire un buon livello di business continuity.

Le politiche europee, in particolare il Green Deal, stanno spingendo ulteriormente le imprese verso la sostenibilità con investimenti significativi previsti per favorire la transizione verso un’economia a emissioni nette zero: questi cambiamenti nel panorama normativo ed economico stanno influenzando le decisioni aziendali e la distribuzione dei fondi, con un’attenzione crescente verso progetti e imprese che rispettano criteri ambientali e sociali. In relazione ai due aspetti appena citati, l’integrazione della sostenibilità consente un miglioramento della reputazione e aumento della fiducia degli stakeholder.

Implementare strategie produttive orientate alla sostenibilità implica adottare fonti di energia rinnovabile, ottimizzare i processi e ridurre gli sprechi e i residui di produzione. Queste azioni portano benefici economici tangibili per l’azienda: da un lato, consentono di risparmiare sulle risorse impiegate nel processo produttivo e, dall’altro, riducono i costi dovuti a inefficienze, generando significativi risparmi finanziari complessivi.

Il ruolo delle PMI nella transizione sostenibile

Attualmente, in Italia, per le PMI la sostenibilità non è ancora un obbligo, ma può rappresentare un’opportunità cruciale in termini di vantaggio competitivo. Questo può avvenire attraverso l’integrazione di processi mirati a ridurre vari rischi ambientali, sociali e di governance, e tramite la revisione del modello di business in anticipo rispetto alla possibile futura applicazione normativa su tutte le imprese. Integrare la sostenibilità significa anche esplorare nuovi mercati, ampliare le potenzialità aziendali, individuare nicchie di mercato prima trascurate, ridurre i costi nel lungo termine e migliorare la reputazione aziendale.

Secondo i risultati dell’indagine Mid-market Climate Transition Barometer condotta da Boston Consulting Group a luglio 2023 su un campione di 700 piccole e medie imprese europee, l’84% ritiene importante ridurre le emissioni di gas serra. Tuttavia, solo l’11% delle aziende intervistate ha dichiarato di avere un piano strutturato per la sostenibilità aziendale.

Secondo i risultati del terzo Kaleidos Impact Watch del 2023, l’Osservatorio di Banca Ifis ha evidenziato che le PMI italiane stanno facendo progressi significativi nello sviluppo di strategie sostenibili. Ciò si manifesta soprattutto attraverso la creazione di strutture interne dedicate a questo tema: il 42% degli imprenditori consultati è coinvolto in iniziative per favorire la transizione verde. Tuttavia, si osserva che al momento i fattori sociali ricevono più considerazione e risorse.

Le PMI sono certamente più svantaggiate nella transizione verso un’economia sostenibile in termini di gestione dei rischi, di costi legati alla transizione, di competenze e di capacità di trattenere i talenti, di ricerca e sviluppo, nella realizzazione di nuovi prodotti, nella riconversione delle attrezzature, dei macchinari e degli stabilimenti produttivi; inoltre, gli incentivi economici e fiscali sono ancora limitati e si concentrano principalmente sugli investimenti nelle energie rinnovabili. Nel 2022 e 2023, il Ministero delle imprese e del Made In Italy ha attivato un’iniziativa volta a finanziare le imprese con progetti innovativi e sostenibili virtuosi, “Investimenti sostenibili 4.0”.

Secondo uno studio condotto dal “Sustainability Lab” di SDA Bocconi in otto paesi europei, le iniziative che potrebbero incentivare l’adozione di strategie sostenibili nelle aziende riguardano principalmente: la formazione sulla sostenibilità, una maggiore accessibilità degli strumenti finanziari ESG, lo sviluppo di indicatori di performance standardizzati e personalizzati per valutare gli impatti ambientali e sociali delle PMI, la promozione della domanda di prodotti e servizi ecologici, e l’inclusione dei criteri ESG nelle procedure di appalto pubblico o nei nuovi strumenti di rendicontazione.