Lo Shanghai Composite Index dall’inizio dell’anno e’ stato superato in discesa solo dalle Borse di Nicosia ed Atene, ma i fattori del ribasso sono radicalmente diversi. Per ironia i mercati ellenici seguono il disastro dei conti e dell’economia, mentre quello cinese sconta probabilmente una crescita troppo robusta. Il Pil e’ aumentato dell’11,9%, lasciandosi alle spalle la crisi ma rendendo tangibile il pericolo di surriscaldamento. La Borsa di Shanghai, pur chiudendo la seduta ordina con un guadagno del 3,5%, ha perso circa il 20% dall’inizio dell’anno ed e’ dunque tecnicamente sotto il marchio dell’orso. Nella sola giornata di lunedi’ 17 il valore di titoli e’ sceso del 5%, penalizzando l’immobiliare, i servizi finanziari, l’acciaio, l’automotive. Senza sorprese, solo i titoli collegati all’oro, ancora nell’incertezza, hanno registrato guadagni. La flessione e’ dovuta al ciclo internazionale ed alla politica interna. È
inevitabile il contagio delle perdite di tutte le piazze, cosi’ come esistono timori sulle effettive possibilita’ di recupero dell’Europa, dopo la crisi greca e continentale. La Cina ha ancora nettamente bisogno della ripresa occidentale per la sua crescita ed ogni incertezza penalizza prima le aspettative e poi i listini. Sul fronte interno la situazione e’ ugualmente complessa. La flessione di Borsa e’ dovuta alle attese per una politica piu’ restrittiva delle
autorita’. I nemici interni di Pechino sono la speculazione edilizia, l’eccesso di liquidita’ e l’inflazione, ovviamente collegati tra loro. I flussi di denaro sono necessari alla ripresa ma si incanalano su direttrici pericolose. Per fermare la facilita’ di credito e’ stata aumentata la riserva obbligatoria delle banche al 17% dei depositi, con il terzo aumento dell’anno. Inoltre sono stati resi piu’ difficili i prestiti per costruzioni, alzando la discrezionalita’ delle banche nell’erogazione, aumentando le imposte sulle seconde case e proibendo l’acquisto delle terze nelle grandi citta’. Si tratta di provvedimenti alternativi al classico aumento del tasso d’interesse. Pechino infatti vuole mantenerlo basso per non attrarre troppi capitali speculativi dall’estero che vanificherebbe i suoi sforzi di austerita’. Previsioni di un suo prossimo innalzamento hanno comunque innescato le vendite. In questa incertezza le pressioni sull’immobiliare sono le piu’ forti e la Borsa ne risente. Sarebbe tuttavia avventato prevedere una flessione prolungata della Borsa di Shanghai. Oltre all’impossibilita’ di paragonare Cina e Grecia, nel medio periodo l’andamento dell’economia tende a riflettersi sul valore dei titoli e Shanghai e’ oramai chiaramente un "buy" con un P/E ratio sotto al 25 un Pil e profitti in crescita del 10%. Quando decollo’ l’immobiliare a meta’ 2008, la borsa tenne per un po’ e poi inizio’ a rallentare, anche se l’arretramento in corso segue comunque un aumento dell’80% nel 2009. In definitiva, siccome i tassi di interesse bancari per i risparmiatori cinesi sono negativi, l’obbligo di trovare investimenti alternativi e’ imperativo: a volte si scommette sul processo
di inurbamento in atto con 20 milioni di persone che si spostano alla campagna alla citta’ ed hanno bisogno di alloggi; altre volte si scommette sull’economia dell’industria e dei servizi che inizia a soddisfare un grande domanda interna sempre piu’ sofisticata: salute, ambiente, istruzione, energie alternative, trasporti, logistica, turismo. Insomma, da qualunque parte la si guardi, l’economia cinese offre opportunita’. Dalla sua fondazione con un pugno di aziende nel 1990, la Borsa di Shanghai e’ cresciuta fino a diventare la seconda al mondo per capitalizzazione dopo Wall Street. Si e’ dotata inoltre di altri servizi, compresi i prestiti interbancari, il bond trading e gli scambi di valute. Il suo ruolo rimane comunque secondario nella finanza internazionale, almeno fino a quando non verra’ lanciato il suo atteso International Board. È probabile dunque che l’altalena dello Stock Exchange rifletta le modifica alla struttura della Borsa. Esistono ovviamente situazioni contingenti, ma dovrebbe trattarsi di una crisi di crescita, una malattia della giovane eta’. Il suo aspetto piu’ preoccupante non e’ l’oscillazione dei valori, ma la novita’ che Pechino non riesce a controllare con la sua sola autorita’ una sua istituzione.
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