Oppure all’avvicinamento della conclusione del QE2 che di fatto dovrebbe chiudere i battenti il prossimo 30 giugno.
TITOLI STATO. Sui titoli di Stato si sono buttati gli investitori di mezzo mondo: un po’ per parcheggiare la liquidità distolta da altre attività finanziarie e un po’ per scelta, per precauzione, nell’eventualità di una stagnazione o, peggio, di un’altra recessione. In questa prospettiva si giustificherebbe la precipitosa uscita degli investitori dal petrolio e dalle materie prime. Wall Street, invece, avendo sacrificato meno del 3% dal massimo di un mese fa, parrebbe assai poco preoccupata dallo scenario economico.
INDICE USA. Anzi, osservando come l’indice S&P sia più propenso a salire che a scendere, ogni volta che vengono annunciati dati macro in forte peggioramento, si direbbe quasi compiaciuta. Insomma Wall Street ragiona come se la Fed, esauriti a giugno gli acquisti di Treasury per 600 miliardi di $, dovesse continuare a inondare di liquidità i mercati attraverso altre soluzioni. Ci sono buone probabilità che le borse abbiano ragione. Si potrebbe obiettare che il dollaro, avendo smesso di perdere sulle altre valute, sia un po’ meno convinto di un nuovo QE3.
ATTESA. Ma forse è solo in una condizione di più prudente attesa. Ben Bernanke qualcosa proporrà, perché se è assai dubbio che l’acquisto di titoli di Stato porti vantaggi diretti all’economia, è invece certo che risollevi le sorti della borsa. Il coraggio di lanciare una terza fase di QE probabilmente Bernanke non lo troverà, vista l’opposizione dichiarata da alcuni membri della Fed.
Ma molto dipende dalla natura di questo marcato rallentamento della crescita, che parrebbe preannunciare addirittura una recessione, a giudicare dalla caduta di alcuni indici manifatturieri (quello di Richmond per esempio). Probabilmente le cose non sono così gravi ed è ragionevole concordare che si tratti di una frenata temporanea, provocata in buona parte dalla distruzione della catena di forniture dopo il terremoto in Giappone. In ogni caso, si allungheranno i tempi di una exit strategy della Fed, ossia di una inversione dell’attuale politica monetaria ultraespansiva.
RIALZO. I mercati stimano adesso un rialzo dei tassi Fed non prima della seconda metà del 2012 e, inoltre, la conclusione del QE2 dovrebbe rivelarsi quasi indolore. Ma anche una conclusione "morbida" dell’attuale QE, avrebbe conseguenze non trascurabili. La principale è che si ridurrebbe sensibilmente il flusso di acquisti sul mercato primario. Adesso, poco meno del 50% dei titoli in asta è sottoscritto dai primary dealer, come hanno dimostrato in settimana le richieste record sui Treasury a 5 e 7 anni.
Per i dealer è un’operazione redditizia e quasi senza rischi, visto che a breve quei titoli saranno consegnati alla Fed. Per questo è ragionevole ipotizzare che la fine del QE si farà sentire soprattutto sui Treasury. Rendimenti allo 0,48% per i titoli a due anni o al 3,06% per i decennali, sono il sintomo di un mercato manipolato dalla politica monetaria. In ogni caso, l’azionario rappresenta ancora il miglior investimento».
OCCUPAZIONE. Quindi conviene anche alle imprese puntare più sull’occupazione, cioè sull’allargamento della capacità di spesa e sulla crescita del fatturato, piuttosto che sul semplice incremento percentuale dei profitti. E in Europa? L’economia tedesca nel trimestre in corso rallenterà al 2% su base annua, dopo l’"insostenibile" 4% di gennaio-marzo, ma comunque sarà il motore della crescita nel nostro continente. Poi c’è l’incognita della Grecia. Nell’insieme è però plausibile che la crescita dei multipli in Europa continuerà, anche se lenta. Per l’investitore meglio azioni o bond? Secondo me conviene ancora investire nell’equity, malgrado tutte le incertezze.