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Consulenza Finanziaria

I portafogli e le esigenze comportamentali

Le valutazioni dei mercati finanziari non sono determinate da variabili esogene (macroeconomiche, politiche), ma dipendono da complessi fenomeni di interazione sociale. Proprio l’influenza del pensiero sui fenomeni economico-finanziari, a differenza delle scienze naturali (in cui i fenomeni accadono indipendentemente dal pensiero di chi li osserva), comporta atteggiamenti emulativi ripetuti nel tempo, che danno vita a quello che può essere definito “effetto gregario”“. (Robert J. Shiller, premio Nobel per l’economia nel 2013).

Nel famoso articolo intitolato “Is there a bubble in the housing market?” del 2003, Shiller avverte che il mercato immobiliare statunitense ha raggiunto prezzi incredibilmente alti. È quindi condivisibile riconoscere in lui una moderna Cassandra quando, nel suo libro “Irrational Exuberance”, profetizza un drammatico scoppio di quella che secondo lui è a tutti gli effetti una enorme bolla speculativa venutasi a creare in questo mercato. Siamo nel 2005 e neanche tre anni dopo la profezia di Shiller si dimostra drammaticamente accurata.

Cosciente che il valore di quotazione dei titoli troppo spesso non sia quello “giusto”, si interroga su come sia possibile che questa variazione si verifichi. A questo scopo, insieme ad altri colleghi come Richard Thaler, decide di indagare la psiche umana, divenendo uno dei padri della finanza comportamentale, scienza che si propone come alternativa alla teoria classica della finanza, condensata nell’ipotesi dell’efficienza dei mercati.

Secondo Shiller e colleghi, infatti, gli investitori (compresi quelli professionali) sono tutt’altro che razionali e pronti a sfruttare rapidamente ogni informazione proveniente dal mercato. Al contrario, utilizzando metodologie tipiche di discipline come la psicologia e la sociologia, è possibile dimostrare come in realtà gli investitori adottino regole decisionali poco sofisticate (dette euristiche), le quali conducono spesso a deviazioni sistematiche (dette bias) da quanto previsto dalla teoria dei mercati efficienti.

L’approccio della finanza tradizionale sostituisce all’homo sapiens (incline agli errori e caratterizzato da emotività) l’homo oeconomicus (totalmente razionale) capace di scegliere attraverso la “teoria dell’utilità attesa” e in grado di controllare ed elaborare ogni informazione disponibile. Viceversa, la finanza comportamentale propone un modello nettamente più realistico di attore economico, che tiene conto delle caratteristiche ineliminabili dell’essere umano, condizionato da emotività e da aspetti cognitivi. Non nega l’ipotesi di efficienza dei mercati, secondo cui il mercato alla fine ha ragione e i prezzi tendono a convergere verso valori razionali, ma non concorda sulle modalità e sulla durata delle deviazioni.

Nell’ambito della teoria dei mercati finanziari, il passaggio dalla visione lineare del mercato a una visione non lineare ha iniziato a svilupparsi circa trent’anni fa, quando Eugene Fama (uno dei maggiori assertori dei mercati efficienti e premio Nobel per l’economia nel 2013 insieme a Shiller) compì approfonditi studi sui rendimenti giornalieri dei titoli, facendo emergere elementi in contrasto con l’ipotesi di random walk (ritorni distribuiti normalmente e serialmente indipendenti) prevista dal paradigma lineare.

Tali ricerche evidenziarono una distribuzione dei rendimenti con code più spesse rispetto alla distribuzione normale, oltre che un’asimmetria delle probabilità di distribuzione dei rendimenti. Da ciò derivò l’impossibilita` di interpretare il mercato basandosi sugli assunti del mercato efficiente.

Cominciarono così a svilupparsi numerose teorie e strumenti finalizzati allo studio delle dinamiche non lineari del mercato finanziario, considerato come un sistema dinamico complesso, composto quindi da una molteplicità di agenti dalle cui interazioni possono sorgere fenomeni di persistenza e autoalimentazione (feedback positivi), in grado di rafforzare e amplificare una tendenza in atto. Il feedback positivo è la forza che porta il sistema lontano da un equilibrio apparente.

La “teoria dell’imitazione sociale”, elaborata nel 1974 dai fisici americani Earl Callen e Don Shapero, studia le dinamiche di comportamento dei sistemi non lineari sociali e, in particolare, le tendenze imitative che si sviluppano tra i singoli agenti. Ognuno di essi, sebbene dotato di una propria indipendenza e autonomia di comportamento, tende infatti a uniformarsi alle dinamiche comportamentali della collettività in cui e` inserito: da un atteggiamento individuale si sviluppa cosi` una dimensione di gruppo, di massa, definita col termine di group think.

In questa dinamica, i mass media contribuiscono strutturalmente alla diffusione di tali atteggiamenti auto-alimentanti, fornendo volti e nomi a determinati eventi, che normalmente richiederebbero un tempo ragionevolmente maggiore per essere identificati e analizzati. Il problema sta nel fatto che spesso quotidiani o altri organi di stampa finiscono per ricorrere a drastiche semplificazioni o approssimazioni della realtà, che nella mente di chi legge o ascolta si trasformano in un’idea precisa e spesso poco aderente alla realtà dei fatti: il pregiudizio. (Un esempio recentissimo è rappresentato da quanto accaduto con il titolo Facebook).

D’altronde, la logica dei profitti vale anche per chi fa informazione. Ecco allora come molto spesso l’incremento della tiratura di stampa, della distribuzione, della condivisione e degli investimenti pubblicitari provenga dal riportare notizie “credibili” ancorché inesatte, che sposino delle teorie atte a creare in qualche modo un’opinione in cui ci si possa riconoscere.

In particolare, per catalizzare l’attenzione del maggior numero di lettori possibile, i giornali sono sempre alla ricerca di esponenti di rilievo in grado di patrocinare una tesi piuttosto che un’altra. In una sorta di spirale informativa, i media tendono molto spesso a far numeri raccogliendo sentori, trasformandoli in opinioni, tornando a raccogliere i sentori generati da queste opinioni per farne opinioni ancora più precise, contribuendo con questo meccanismo a generare gli stessi fatti che alimentano la cronaca.

Le reazioni dell’essere umano alla qualità degli input, ricevuti in merito a un determinato argomento, venivano già approfonditamente analizzate nel 1979 con una serie di studi empirici dal premio Nobel Daniel Kahneman e Amos Tversky, che dimostravano quanto fosse impattante l’effetto framing (o effetto inquadramento) sulle decisioni umane; ossia quanto le preferenze e le scelte delle persone possano variare a seconda delle modalità con cui e` posto un problema (linguaggio utilizzato, contesto, presentazione etc).

In poche parole veniva dimostrato come, di fronte a problemi sostanzialmente identici, le decisioni degli individui potessero essere molto differenti a seconda dell’inquadramento adottato nel comunicare un’informazione.

Ai giorni nostri, queste amplificazioni informative, e il perseguimento di quelle che possono essere definite delle vere e proprie “mode” d’investimento, trovano un canale preferenziale nello strumento Internet, che da un certo punto di vista rappresenta la scoperta della ruota in un mercato dell’informazione già di per sé in espansione. Infatti, grazie a questo potente e immediato mezzo di comunicazione globale, molte più persone sentono di avere dati a sufficienza per gestire il proprio portafoglio finanziario.

Dunque si osserva un’interessante correlazione tra il grado di informazioni a disposizione e i volumi di negoziazione degli strumenti finanziari, spiegata attraverso il concetto di curva di retroazione, che richiama alla mente un circolo vizioso in grado di autoalimentarsi. Di fatto è proprio quello che succede: l’incremento dei prezzi sui mercati finanziari procura guadagni a chi vi opera, richiamando altri investitori che, con la loro domanda, contribuiranno all’incremento ulteriore di tali prezzi, richiamando a loro volta una nuova ondata di interesse e così via.

Ogni ondata, inoltre, porta con sé un’amplificazione dei comportamenti psicologici visti precedentemente, che sfociano in atteggiamenti gregari molto pericolosi, in grado di diffondersi con le stesse dinamiche delle epidemie.

Una società altamente informatizzata rappresenta quindi il presupposto ideale per il divampare di queste epidemie speculative, il tutto alimentato da un altro aspetto psicologico in grado, una volta innescato il meccanismo di retroazione, di fare da volàno all’entrata progressiva nel mercato di nuovi investitori e quindi nuovi capitali: il rammarico.
Infatti, il motivo che più di ogni altro riesce a convincere le persone a scommettere su investimenti rischiosi, è l’accorgersi di aver perso un’occasione. Tutti sanno che il rimorso per non aver fatto qualcosa o non aver sfruttato un’occasione di riscatto ha un peso enorme; ecco perché non appena lo spettro del rammarico fa la sua comparsa, le persone tendono a ignorare le più banali forme di prudenza pur di scacciarlo. (Ne può rappresentare un chiaro esempio, la dinamica di gruppo sviluppatasi negli ultimi tempi sul titolo BitCoin).

Nel mercato finanziario emozioni del genere rappresentano una forte spinta ad agire, in quanto nei periodi di rialzo è facile chiacchierare con il vicino di casa e scoprire che con la Borsa ha guadagnato in due mesi quello che normalmente si guadagna in un anno di lavoro. Spesso, in queste fasi di mercato, articoli o libri pubblicati ad hoc invitano a non lasciarsi scappare la ghiotta occasione che il mondo degli investimenti sta offrendo. Così, periodicamente, il mercato si ammala di euforia e gonfia bolle speculative che lo stesso mercato riassorbe dolorosamente dopo il raggiungimento di un picco massimo.

È su questi presupposti che periodicamente i mercati finanziari (o un titolo in particolare) tendono ad affascinare ignari investitori che, convinti di operare in maniera razionale e con completa cognizione di causa, molto spesso decidono di affrontare scenari complessi e tempestosi, nella convinzione di aver sufficientemente analizzato tutte le possibili implicazioni delle proprie azioni. Nella realtà, invece, tali decisioni arrivano a seguito di un convincimento dovuto principalmente alla condivisione del cosiddetto senso comune, ossia “…il risultato di un ingenuo e acritico approccio a questioni affrontate superficialmente e sbrigativamente date per risolte. …che si presenta spesso come falso se messo alla prova del sapere scientifico e specialistico”. Da non confondersi con il più ragionevole “buon senso”, ossia “…la capacità di giudicare con equilibrio e ragionevolezza una situazione”.

La distorsione cognitiva, che spinge a inseguire le tendenze e a far sembrare evidente ex-post quale sarebbe stata la miglior soluzione da adottare, si ripercuote anche sulle scelte finanziarie.
Infatti, nella scelta del timing di azione sui mercati finanziari da parte degli investitori, bisogna tenere in considerazione anche il non trascurabile effetto che la propensione al rischio di ognuno sortisce.

Quanto più un individuo risulta avverso al rischio, tanto più tende a cercare conferme nell’altalenante andamento dei mercati, trovando il coraggio di agire soltanto nel momento in cui crede di aver raggiunto una ragionevole certezza del fatto che gli strumenti che sta monitorando possano rappresentare un buon investimento, dati i risultati positivi conseguiti nel periodo osservato e a prescindere dal momento e dal contesto economico in cui tali risultati siano stati ottenuti.

Questa propensione a “inseguire” l’andamento dei mercati finanziari porta a un fenomeno comportamentale sul proprio portafoglio assolutamente disastroso: accumulare prevalentemente nelle fasi finali dei rialzi di mercato, o alleggerire in quelle di ribasso, aumentando il prezzo medio di acquisto e peggiorando ulteriormente il rendimento finale. Un bias conosciuto come “errata dinamica dei flussi di capitali”.

Infatti, come ampiamente dimostrato da Kpmg, Morningstar e altri studi in merito, la pro-ciclicità del settore del risparmio gestito è direttamente collegata al bias molto diffuso secondo cui il risparmiatore proietta l’andamento passato verso il futuro e dunque “… compra in periodi di espansione (a prezzi elevati) e vende in periodi di recessione (con inevitabili perdite di valore)”.

In questo modo, il risultato di una sistematica scelta errata del timing di ingresso/uscita dai mercati, nonché delle tempistiche dei versamenti successivi, si traduce nella creazione di un gap incolmabile tra il rendimento dei mercati finanziari nel periodo di riferimento (Twrr) e il rendimento effettivo per il cliente (Mwrr – rendimento ponderato per il flusso di capitale investito nel tempo) che prescinde dalla bontà degli strumenti finanziari utilizzati e compromette definitivamente gli obiettivi di pianificazione finanziaria impostati insieme al proprio consulente.

Questi aspetti sono parte integrante del concetto di alpha del consulente, che da qualche anno diffondiamo in Italia; ossia la capacità effettiva per il consulente finanziario di creare un reale valore aggiunto per il cliente, lavorando sulle due principali leve che oggi minano la sua professionalità: l’eterno conflitto d’interesse (il controllo dei costi) e la gestione comportamentale del portafoglio del cliente.

L’alpha del consulente è conseguibile se:
1. gli obiettivi del consulente sono totalmente allineati a quelli del cliente, e questo sarà possibile solo se sarà remunerato per la qualità della consulenza offerta e non per la quantità di prodotti venduti;
2. il consulente finanziario può accedere a modelli gestionali che siano innanzitutto behavioral finance compliant, cioè gli consentano di gestire e dominare gli aspetti comportamentali che minano il raggiungimento degli obiettivi impostati. Modelli che siano personalizzabili e che consentano un controllo puntuale del rischio, permettendo di rispondere a uno degli elementi portanti della MiFID II: l’attenzione non solo alla propensione al rischio del cliente, ma soprattutto alla capacità di sopportare perdite sul patrimonio che non inficino la sua sussistenza finanziaria;
3. competenze interdisciplinari (e non solo nozioni) per una corretta e indipendente pianificazione patrimoniale e successoria, che portino all’individuazione di professionisti in grado di coadiuvarci nella gestione del cliente e degli strumenti più efficaci per farlo (non soltanto polizze, che rischiano di essere meramente strumentali alla vendita).

Questi punti sono fondamentali per evolvere la propria figura di consulente finanziario, operando con totale condivisione e trasparenza d’intenti e creando reale valore aggiunto per il cliente, e dovrebbero caratterizzare ogni singolo professionista, dato che la soddisfazione delle esigenze più profonde del cliente (sicurezza familiare, casa, studio dei figli, pensione, aspirazioni personali) dipendono principalmente da lui, dalla sua capacità di disciplinare l’atteggiamento finanziario, controllando tutti gli elementi di disturbo che potrebbero interferire.

Il consulente consapevole, infatti, grazie alla capacità di disciplinare l’atteggiamento comportamentale del cliente attraverso una corretta pianificazione dei singoli obiettivi finanziari e all’utilizzo di modelli gestionali innovativi (finanza comportamentale compliant), potrà colmare il gap creato dai costi del sistema del risparmio e dalle errate scelte di timing, riallineando il rendimento del portafoglio del cliente a quello dei mercati di medio-lungo termine, abbattendone in più i valori di drawdown e di volatilità. Ossia un consulente attivo e strategico nelle scelte e nel controllo dinamico del rischio di portafoglio, che in maniera scevra da emozioni e bias comportamentali permetta ai suoi clienti di partecipare attivamente ai rialzi di mercato fintantoché questi persisteranno, ma al contempo ne preservi i patrimoni nei casi in cui si dovessero manifestare condizioni finanziarie avverse a una esposizione al rischio.

Il fatto che i mercati finanziari siano incerti e ciclici non vuol dire che debba esserlo anche la nostra attività. Il consulente finanziario non può più permettersi di vivere professionalmente in balìa dei mercati e degli eventi, altrimenti continuerà a incrementare il numero di clienti e di masse in gestione nelle fasi di rialzo e a subirne il decremento nelle fasi di ribasso.

Oggi la MiFID II ci consente finalmente di rappresentare l’ingranaggio portante del servizio di consulenza, potendo prestare (non meramente offrire) la consulenza, coscienti che la catena del disvalore (Ter astronomici non giustificati e bias comportamentali) vada spezzata definitivamente.

Tutto questo è l’alpha del consulente.