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I principali strumenti finanziari analizzati dal consulente indipendente

In questo articolo sono presentati e analizzati i principali strumenti finanziari esistenti sul mercato italiano focalizzando l’attenzione sugli elementi di criticità che incidono sulla loro analisi da parte dei consulenti finanziari indipendenti. Iniziamo con i fondi comuni d’investimento

 I fondi comuni d’investimento

A partire dai primi anni 90, i fondi comuni d’investimento hanno assunto un peso rilevante nell’offerta del risparmio gestito. Questi strumenti finanziari consentono la raccolta di somme di denaro presso una pluralità risparmiatori e il loro investimento in forma collettiva, come se fossero un unico patrimonio. Tutti i sottoscrittori partecipano in proporzione al numero delle quote possedute agli eventuali utili, nonché alle modifiche del valore dell’investimento in conto capitale, realizzati nel periodo di riferimento. Il fondo è un patrimonio giuridicamente separato dal patrimonio della società di gestione. Questa caratteristica implica una conseguenza molto importante: i creditori della società di gestione non possono aggredire il fondo per soddisfare i propri crediti e conseguentemente non possono pregiudicare nemmeno i diritti dei partecipanti (art. 36 TUF).

Alla società di gestione è affidato un mandato che la vincola a gestire il fondo secondo modalità d’investimento predefinite, utilizzando le informazioni e le esperienze di cui dispone. Tali vincoli con il risparmiatore sono fissati nel prospetto informativo, che per i fondi comuni d’investimento deve essere consegnato obbligatoriamente al sottoscrittore. Il fondo è uno strumento d’investimento finalizzato ad ottenere una valorizzazione del patrimonio; è bene quindi ricordare che esso non garantisce sempre e in ogni caso un rendimento. Infatti, se da un lato i fondi consentono di ripartire il rischio attraverso la diversificazione degli assets nel quale il fondo investe, dall’altro la loro sottoscrizione comporta l’investimento in attività che sono necessariamente contraddistinte da un certo margine di rischio.
La particolare struttura dei fondi aperti consente di sottoscrivere quote, o chiederne il rimborso, in ogni momento. Il loro patrimonio, infatti, non è fissato in un ammontare predefinito, ma può continuamente variare, in aumento per le nuove sottoscrizioni o in diminuzione per i rimborsi, oltre che, ovviamente, aumentare o diminuire in relazione alla variazione del valore dei titoli in portafoglio.

Al contrario, i fondi chiusi hanno un patrimonio predefinito, le cui quote possono essere sottoscritte solo durante la fase d’offerta, che si svolge prima di iniziare l’operatività vera e propria, mentre il rimborso avviene di norma solo alla scadenza. E’ in ogni caso possibile vendere o acquistare le quote in Borsa nel caso in cui esse sono ammesse a quotazione.
La diversa struttura è funzionale alle diverse politiche d’investimento: infatti, ai fondi chiusi sono riservati investimenti poco liquidi e di lungo periodo quali ad esempio: immobili, crediti, società non quotate. In questi casi è necessario che il gestore possa fare affidamento sulla stabilità del patrimonio del fondo per un certo periodo di tempo, stabilità che potrebbe essere pregiudicata dalla necessità di far fronte alle richieste di rimborso. I fondi aperti, invece, investono generalmente in azioni, obbligazioni e altri strumenti finanziari quotati che possono essere, in qualsiasi momento, negoziati sul mercato. Per questa ragione, i fondi aperti non necessitano di un patrimonio particolarmente stabile, in quanto eventuali esigenze di liquidità possono essere fronteggiate vendendo i titoli presenti in portafoglio .

Sempre in relazione al tipo di struttura è possibile distinguere tra fondi comuni d’investimento e Sicav. Il fondo comune è un patrimonio a sé stante, costituito con il denaro dei sottoscrittori e gestito da uno specifico tipo di società, ovvero da una Sgr (società di gestione del risparmio). Al contrario, la Sicav (società d’investimento a capitale variabile) è una vera e propria società, nella quale la qualità di partecipante alla gestione collettiva si sovrappone a quella di socio. Nella sostanza, però, sia i fondi sia le Sicav assolvono la stessa funzione economica: gestire collettivamente le somme affidate dai risparmiatori. Proprio per questa ragione, se non diversamente specificato, nel prosieguo del lavoro con il termine fondo ci si riferirà anche alle Sicav.

Dall’analisi dei più recenti dati forniti da Assogestioni emerge che il risparmio gestito ha raggiunto, dal 2000, un peso superiore ad un terzo del totale delle attività finanziarie possedute dalle famiglie italiane; tuttavia, nell’ultimo biennio, è sensibilmente diminuito a fronte di una bassa redditività e a costi spesso troppo elevati. In termini assoluti, le masse investite nel risparmio gestito nel febbraio 2007, superavano i 1.000 miliardi d’euro, a fronte di un risparmio finanziario totale di oltre 3.000 miliardi d’euro. Tra i vari strumenti offerti alla clientela, preponderante è l’incidenza dei fondi comuni d’investimento aperti che, ad inizio 2007, superava il 60% dell’intero risparmio gestito.

La classe dei fondi è suddivisibile in sottoclassi, che si differenziano per numerosi aspetti, tra cui i principali sono: il profilo rischio-rendimento, la liquidabilità e la natura degli investimenti. Con riferimento al profilo rischio-rendimento è possibile ripartire tali strumenti in categorie sufficientemente omogenee, Assogestioni ne individua cinque: azionari, obbligazionari, bilanciati, liquidità e flessibili. A sua volta, queste macrocategorie sono ulteriormente ripartite in sottoclassi, per un totale di ben 42. Tra queste la predominante è quella dei fondi obbligazionari che ha un peso di poco inferiore al 50%, seguita da quella degli azionari con un peso di circa il 25%.

Al fine di analizzare meglio gli aspetti critici che caratterizzano i fondi comuni d’investimento, bisogna individuare i soggetti coinvolti nella loro creazione e circolazione. L’offerta di questi strumenti avviene, in genere, secondo il seguente schema: i risparmiatori consegnano le somme da investire ai soggetti collocatori (banche, Sgr, Sim, promotori finanziari per quanto concerne il collocamento fuori sede) che curano le procedure per la sottoscrizione.
Esiste poi una specifica Sgr che ha il compito di gestire le somme raccolte secondo una politica d’investimento predefinita e nell’interesse esclusivo dei risparmiatori. In genere, l’informazione e l’assenza di conflitto d’interesse sono il presupposto per un buon investimento. Chi investe dovrebbe possedere una conoscenza approfondita ed estesa dei prodotti offerti e chi colloca dovrebbe agire sempre nell’esclusivo interesse del sottoscrittore.

L’elevata e articolata offerta del sistema del sistema fondi congiuntamente alla relativa complessità di valutazione e controllo generano una comprensibile confusione nell’investitore, il quale non è in grado di acquisire le opportune competenze e quindi assiste impotente ad un ampliamento del gap informativo rispetto al collocatore e al gestore. L’asimmetria informativa, purtroppo, può generare un costo opportunità che l’investitore deve sostenere.
Inoltre, nell’offerta dei fondi comuni emerge anche la problematica del conflitto d’interesse, che può riguardare sia il collocatore sia la società di gestione del risparmio. Il primo è ovviamente condizionato nel proporre i prodotti e le soluzioni presenti all’interno del proprio catalogo di vendita. Ciò non permette di individuare e consigliare al meglio eventuali alternative più efficienti che il mercato è in grado di offrire. Inoltre, un’altra distorsione può avvenire all’interno della stessa gamma di prodotti a disposizione del collocatore.

Esso può essere tentato di proporre ciò che a parità di rischio rendimento offre una provvigione più elevata, oppure indurre l’investitore a sopravvalutare la componente di rendimento rispetto al rischio orientandone così le scelte su tipologie d’investimento a più alto margine di guadagno.

I suddetti rischi d’opportunismo possono presentarsi sia nella fase anteriore sia in quella successiva all’investimento. In effetti, la coerenza degli strumenti prescelti rispetto al proprio profilo finanziario deve essere perseguita durante l’intero rapporto che si instaura con la sottoscrizione della quota. In ugual modo potrebbero essere gli stessi strumenti finanziari a subire modifiche tali da renderli non più adeguati per il risparmiatore. L’intero portafoglio deve essere valutato nel tempo, non il singolo strumento. Purtroppo ciò spesso non accade e l’attività di monitoraggio, per lo più nel caso di portafogli di piccole medio dimensioni, resta appannaggio dello stesso investitore.

Per quanto riguarda il gestore del fondo, i margini d’intervento per approfittare dell’eventuale conflitto d’interesse sono ampi e meno evidenti. Egli potrebbe essere tentato di elevare il turnover del portafoglio più del dovuto, inserire degli asset finanziari non adeguati, o lucrare eccessivamente sulle commissioni di performance. In questo ultimo caso, metodi di calcolo delle performance basati sull’utilizzo di benchmark cosiddetti comodi o la non applicazione della high water mark  possono indurre il gestore a far assumere dei rischi eccessivi all’investitore e lucrare commissioni d’incentivo quando non dovute.
L’interesse, ossia la massimizzazione del profitto del collocatore e del gestore, può risultare incompatibile e quindi contrapposto a quello dell’investitore che ricerca invece la soluzione più idonea alle proprie esigenze.

Per evitare o ridurre questi rischi, il risparmiatore può rivolgersi ad un consulente finanziario indipendente. Questa figura ha, infatti, il compito di ridurre i costi opportunità sostenuti dall’investitore e rendere più consapevole la scelta dell’investimento da parte di quest’ultimo.
Nel valutare i fondi, il consulente sottopone a verifica il benchmark, lo stile di gestione e i costi dell’investimento in fondi.