Negli ultimi giorni si è molto parlato di occupazione, lavoro e salari. Tutti gli occhi sono puntati sulla proposta del presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, di ridurre ulteriormente il cuneo fiscale per sostenere il potere d’acquisto dei lavoratori senza impattare sul costo del lavoro delle imprese. Tagliare il costo del lavoro sembra, infatti, l’unica strada per aiutare principalmente la fascia di lavoratori a basso reddito (sotto i 35mila euro).
L’intervento previsto è di 16 miliardi di euro e sarebbe destinato per 2/3 ai lavoratori dipendenti e per 1/3 alle imprese; questo, secondo le stime del presidente di Confindustria potrebbe significare un guadagno per gli italiani di circa 1.223 euro.
Dello stesso avviso di Bonomi sarebbero anche il ministro dello sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, e le parti sociali (CISL, UIL) che, nel corso dell’ultimo festival dell’Economia svoltosi a Trento, hanno appoggiato la sua proposta di un robusto intervento di taglio del cuneo fiscale per dare slancio ai salari compressi dalla ripresa dell’inflazione.
Qual è la situazione su lavoro e occupazione in Italia? Qualche dato di confronto con l’Europa
Ma quali sono i tassi di occupazione in Italia rispetto all’Europa? Secondo le analisi di Eurostat relativi all’anno in corso, delle cinque regioni europee con l’occupazione più bassa del continente, ben quattro sono italiane e sono: Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. Dai dati raccolti a proposito del mercato del lavoro europeo nel 2021, emerge che il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni registrato in Sicilia è pari al 41,1%; seguono la Campania con il 41,3%, la Calabria con il 42% e la Puglia con il 46,7%: tassi notevolmente inferiori alla media europea che si attesta attorno al 68,4%.
Queste rilevazioni confermano ancora una volta i profondi divari territoriali tra Nord e Sud. Infatti, se il Nord Ovest ha un tasso di occupazione del 65,9% e il Nord Est del 67,2% (vicini alla media UE del 68,4%), il Sud presenta oltre 20 punti di occupazione in meno (45,2%). A paragone con la Grecia, che ha un tasso di occupazione più basso di quello medio italiano (57,2%, il peggiore in UE), la regione però ha meno differenze regionali.
Come sta cambiando il mondo del lavoro: la Great resignation
È innegabile che sui dati rilevati dalle analisi di Eurostat abbiano influito i tanti cambiamenti che hanno coinvolto e trasformato il mondo del lavoro, in primis la crisi pandemica e l’introduzione dello smartworking. Ma se da un lato le nuove modalità di lavoro agile sono state inizialmente imposte ai lavoratori per fronteggiare l’emergenza sanitaria; adesso, a distanza di due anni, sembra che molte realtà lavorative abbiano deciso di mantenere le modalità di lavoro “fluido”, seppur adattandolo alle esigenze dei lavoratori, anche per arginare la cosiddetta “Great resignation”, ovvero le dimissioni di massa.
Il fenomeno ha visto numerosi lavoratori lasciare spontaneamente il proprio lavoro in diversi settori produttivi. Negli Stati Uniti, in tutto il 2021 si sono dimessi complessivamente 47,8 milioni di lavoratori ed anche in Italia, su scala ridotta, si è verificato lo stesso esodo con una cifra di circa due milioni di lavoratori che hanno abbandonato il posto di lavoro. I dati trasmessi dal Censis hanno rilevato, infatti, che l’82,3% dei lavoratori (86,0% tra i giovani, l’88,8% tra gli operai) si è detto insoddisfatto della propria occupazione e “ritiene di meritare di più”; tuttavia il 56,2% degli occupati non è propenso a lasciare il proprio lavoro, nella convinzione che non troverebbe un impiego migliore.
Quali sono, dunque, le motivazioni alla base di questa “Grande fuga”? Le ragioni sono diverse: dalle insoddisfazioni per il salario, che viene ritenuto insufficiente o il welfare aziendale che non tiene conto delle esigenze minime in termini di permessi per assistenza fino alla mancanza di tempo libero. In molti settori, infatti, il ritmo di lavoro è particolarmente stressante. Quest’ultimo aspetto è emerso chiaramente durante il lockdown quando una buona parte delle aziende hanno dovuto ricorrere allo smartworking.
Come sta cambiando il mondo del lavoro: smartworking 4.0?
Una ricerca condotta da Reverse – azienda internazionale di Headhunting e consulenza HR – svolta su un campione di 1.019 lavoratori italiani di età compresa tra i 25 e i 60 anni (tutti accomunati dal fatto di avere parzialmente lavorato in modalità di lavoro agile) ha scattato un’immagine della situazione attuale: ciò che è emerso è stato che la disconnessione è un’esigenza molto sentita per il 45% dei lavoratori intervistati così come la necessitò di una regolamentazione in merito alla reperibilità.
Un altro aspetto legato allo smartworking che preme particolarmente portare avanti è quello della formazione: sarà fondamentale investire maggiormente sui percorsi di formazione maggiormente mirati e personalizzati per i lavoratori. Allo stesso tempo, per tornare in presenza, sarà necessario adeguare gli spazi alle nuove modalità di lavoro.
Come sta cambiando il mondo del lavoro: donne a lavoro e gender gap
Sul lato occupazione femminile e gender gap, la situazione non migliora e il divario nord-sud si fa sentire. Sempre secondo le fonti Eurostat, nelle Regioni del Sud risultano occupate meno di una donna su tre (il 32,9%) nella fascia tra i 15 e i 64 anni, a fronte di una media italiana del 49,4% e di quella europea del 63,4%.
Dal 1977 a oggi, ovvero in 45 anni, il tasso di occupazione femminile in Italia è salito di appena 17 punti percentuali (dal 33% al 50%): “È una vera e propria emergenza e avremmo bisogno di un piano straordinario per l’occupazione femminile”, così afferma Linda Laura Sabbadini – Chair Women20 e direttrice del Dipartimento per lo sviluppo di metodi e tecnologie per la produzione e diffusione dell’informazione statistica dell’ISTAT – intervenendo al Festival dell’Economia di Trento.
Le analisi statistiche rivelano infatti che, livello europeo, paesi come la Spagna, la Grecia, la Francia e Malta hanno dei tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro superiori rispetto all’Italia. La preoccupazione è anche verso il PNRR, che rischia di essere un’occasione sprecata; a detta di Sabbatini, infatti, le misure previste dal Piano di ripresa e resilienza devono essere accompagnate da investimenti mirati e da politiche di welfare, oltre che da investimenti per i nidi pubblici e la cura degli anziani.
Come sta cambiando il mondo del lavoro: i lavoratori over 55
Tra le novità nel mondo del lavoro rientra anche l’età media dei lavoratori che negli ultimi 10 anni si è alzata, mettendo sotto i riflettori il fenomeno della cosiddetta “Longevity”. A causa delle riforme che hanno aumentato l’età di accesso al pensionamento e all’andamento demografico, nel 2021 in Italia lavorava il 53,4% delle persone tra i 55 e i 64 anni, con un aumento di 15,9 punti percentuali. Il dato è ancora più evidente per le donne con un +16,1%.
Negli ultimi 10 anni, infatti, sulla base dei dati ISTAT costruiti sulle vecchie regole delle uscite pensionistiche, gli occupati più giovani (nella fascia tra i 15 e i 34 anni) sono diminuiti di quasi un milione di unità. Al contrario, il tasso di occupazione tra i senior in Italia è cresciuto di 15,9 punti percentuali (più della media UE).
Ecco perché è evidente ormai come gli over 50 occupino un segmento di mercato in forte crescita e che ha assunto una posizione rilevante nello scenario economico della cosiddetta “Silver Economy”, andando ad influire sugli equilibri economici del nostro Paese.
Rapporto lavoro-crescita economica: Agenda 2030 e l’Obiettivo 8 dei Sustainable Development Goals
Sul rapporto tra lavoro e crescita economica, infine, i dati attuali ci dicono che nel mondo sono più di 200 milioni le persone senza fonte di guadagno (soprattutto tra i giovani).
A livello Europa, se ci si riferisce al Rapporto ASviS 2021, si può evidenziare quanto l’Italia sia in ritardo rispetto a Paesi europei e non, con tassi di crescita dell’occupazione tali da rendere impossibile il raggiungimento del target numero 8 dei Sustainable Development Goals (promossi dal progetto europeo Agenda2030): promuovere una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, la piena occupazione e il lavoro dignitoso per tutti.
È chiaro, dunque, che le discrepanze che si registrano a livello mondo – rispetto all’ambizione delineata da Agenda 2030 – potranno essere colmate con l’apporto di tutti, anche (e soprattutto) attraverso la valorizzazione del capitale umano.