Le parole scritte dal presidente cinese Hu Jintao in risposta alle domande dei giornali Usa, accentuano la frustrazione degli americani. la sensazione è quella di essere ormai trattati dalla Cina come una potenza in declino.
AMERICA E DECLINO. Hu Jintao la pensa così: il sistema valutario internazionale dominato dal dollaro è un prodotto del passato e il renminbi sta dando un grosso contributo allo sviluppo economico mondiale, ma la sua trasformazione in una moneta internazionale comporterà un processo dai tempi molto lunghi. Il ruolo del dollaro come moneta di riserva del mondo, insomma, per ora non è minacciato. Siamo veramente alla vigilia di cambiamenti epocali? È vicino il giorno in cui pagheremo il petrolio in yuan (l’altro nome della moneta cinese) anziché in dollari?
CINA. L’atteggiamento di Pechino non è certamente più quello umile esibito da Deng Xiaoping quando, trent’anni fa, aprì la Cina all’economia di mercato Pechino, né quello, prudente, che lo stesso Hu esibì nella visita ufficiale del 2006 in un’America ancora governata da Bush e non ancora travolta dalla tempesta finanziaria. Ma le sue parole oggi, benché indigeste per il grande pubblico, non colpiscono più di tanto i mercati e l’amministrazione Obama.
LA VALUTA. Che, dopo aver passato inutilmente tutto il 2010 a chiedere una rapida rivalutazione della moneta cinese, incalzerà nuovamente Hu soprattutto sulle questioni commerciali, le violazioni della proprietà intellettuale, gli ostacoli frapposti all’attività delle imprese americane che operano in Cina, il sistematico assistenzialismo di Stato di Pechino che altera la concorrenza. Si va facendo strada l’idea che, se i cinesi non accettano di smettere di sostenere l’export tenendo lo yuan artificialmente basso, la riduzione di competitività delle loro merci la subiranno attraverso un aumento dell’inflazione.
Per questo Obama insisterà più sulle condizioni di accesso al mercato cinese e sulla creazione di posti di lavoro per le imprese americane, che sullo yuan. Sulle valute i margini d’intervento sono minimi: i mercati sanno che il gigante asiatico vuole diventare una potenza finanziaria capace di sganciarsi gradualmente dal dollaro, valuta nella quale oggi investe gran parte delle sue riserve.
Con poco entusiasmo, viste le (criticatissime) politiche espansive della Federal Reserve che tiene bassi tanto i tassi d’interesse (e, quindi, i rendimenti) quanto le quotazioni del biglietto verde. Qui la domanda non è se Pechino cercherà di fare concorrenza a dollaro ed euro con uno yuan pienamente convertibile, ma quando e come.