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Lavoro e Great resignation: perché puntare sul capitale umano?

Il mondo del lavoro non è più lo stesso. Negli ultimi tempi si è molto parlato di occupazione e anche l’ultima edizione del Salone del Risparmio 2022 si è focalizzata sull’attuale contesto e su come poter valorizzare il capitale umano che riguarda tutti i lavoratori. È innegabile che il fenomeno che maggiormente salta all’occhio, poiché rilevato già a partire dal 2021, è quello della “Great resignation”.

Il termine – coniato per la prima volta nel maggio 2021 da Anthony Klotz, professore di Management all’Università del Texas – fa riferimento alle cosiddette “dimissioni di massa” che nell’ultimo anno ha visto numerosi lavoratori lasciare spontaneamente il proprio posto di lavoro in diversi settori produttivi.

Lavoro e Great resignation: qual è la situazione in Italia? Qualche dato

Il fenomeno della “Great resignation” è stato rilevato per la prima volta negli Stati Uniti dove (nel corso del 2021) si sono dimessi complessivamente 47,8 milioni di lavoratori, alcuni dei quali hanno dichiarato di voler abbandonare del tutto il mondo del lavoro. Qual è invece la situazione nel nostro Paese?

In Italia, anche se su scala ridotta, si è verificato lo stesso esodo con una cifra di circa due milioni di lavoratori che hanno abbandonato il posto di lavoro. Gli ultimi dati trasmessi dal Censis hanno rilevato, infatti, che l’82,3% dei lavoratori (86,0% tra i giovani, l’88,8% tra gli operai) si è detto insoddisfatto della propria occupazione e “ritiene di meritare di più”.

Una ricerca dell’Osservatorio HR Innovation Practice del Politecnico di Milano rileva anche altri elementi di malessere. Analizzando tre dimensioni del benessere lavorativo (fisica, sociale e psicologica), solo il 9% degli occupati dichiara di stare bene in tutte e tre. L’aspetto più critico è quello psicologico: quattro su dieci hanno avuto almeno un’assenza nell’ultimo anno per malessere emotivo; preoccupazioni che si riflettono anche sullo stato fisico, con episodi di insonnia e difficoltà a riposare bene (55%). A questo si accompagna una diminuzione del livello di engagement: rispetto al 2021, i lavoratori pienamente “ingaggiati” passano da un già basso 20% a un 14% e solo il 17% delle persone si sente incluso e valorizzato all’interno della propria azienda.

“Le dimissioni in Italia sono lo specchio di due fenomeni correlati – spiega Mariano Corso, responsabile scientifico dell’Osservatorio Polimi –: il crescente malessere dei lavoratori, spesso non adeguatamente identificato dalle organizzazioni, e la volontà di dare un nuovo significato al lavoro, per cui molte persone oggi cambiano anche a condizioni economiche inferiori per seguire passioni e interessi personali o ottenere maggiore flessibilità”.

Lavoro e welfare aziendale: l’arma vincente contro la Great resignation?

Lo studio dell’Osservatorio evidenzia, inoltre, come per il 44% delle imprese la capacità di attrarre candidati è notevolmente diminuita dopo la pandemia. Come fare quindi per riconquistare i lavoratori ai tempi delle Grandi dimissioni? Un elemento fondamentale su cui bisognerebbe che le realtà aziendali si focalizzassero è quello del welfare.

Il ruolo sociale del welfare aziendale, infatti, è diventato ancor più rilevante soprattutto in quest’ultimo periodo di grandi incertezze. Favorire la conciliazione dei tempi di vita-lavoro si rispecchia nei servizi offerti dal datore di lavoro: dalle attività legate al people care, alla genitorialità, dal baby-sitting, all’assistenza agli anziani o a familiari non autosufficienti. Non solo, anche tutti i servizi legati all’istruzione e alla salute.

“Per migliorare benessere ed engagement bisogna agire in maniera prioritaria su due leve – afferma Martina Mauri, Direttrice dell’Osservatorio HR Innovation Practice –: da una parte aumentare la flessibilità, intesa soprattutto come responsabilizzazione e autonomia della persona nella gestione delle proprie attività lavorative. Dall’altra creare un ambiente di lavoro aperto e inclusivo, capace di valorizzare al meglio le competenze dei lavoratori, ma anche interessi e passioni personali, a cui dare piena cittadinanza all’interno dei confini organizzativi”.

Lavoro e formazione: gli incentivi statali per la formazione 4.0

Un altro aspetto che i lavoratori reputano come carente o poco valorizzato dalla propria realtà lavorativa è quello della formazione, soprattutto in relazione allo smartworking e all’uso delle nuove tecnologie ad esso associato. Tre intervistati su quattro, ad esempio, dichiarano di non aver fatto abbastanza percorsi di formazione e sviluppo all’interno dell’azienda (o di farne solo a volte) e ritengono sia prioritario investire sulle “technicalities”.

A tal proposito già nel 2020 la Legge di Bilancio aveva introdotto il credito di imposta per Formazione 4.0, ovvero un sostegno alle piccole e medie imprese che decidevano di investire in formazione 4.0 in favore dei lavoratori. L’obiettivo era quello di adeguare le competenze del personale all’uso in sicurezza delle nuove tecnologie che possono accelerare o migliorare il processo di produzione e consentono di aumentare la qualità dei prodotti.

Inoltre, proprio perché non può esserci formazione 4.0 senza tecnologie 4.0, il Decreto Aiuti 2022 – varato dal Consiglio dei ministri – prevede un ulteriore credito d’imposta per gli investimenti 4.0 al fine di supportare le imprese che acquistano beni immateriali come software, piattaforme e applicazioni.

Lavoro e capitale umano: investire sulla sostenibilità per creare valore e crescita sociale

Infine, valorizzare il capitale umano sarà la grande sfida dell’industria del lavoro che è chiamata a ripensare i propri modelli. Proprio su capitale umano, inclusione e fiducia si sono concentrati gli interventi dell’ultimo Salone del Risparmio 2022. Il contesto attuale, infatti, tra conflitti geopolitici, alta inflazione e mondo del lavoro in pieno stravolgimento, sta costringendo il mondo del risparmio gestito e tutte le sue attività a focalizzarsi e portare avanti obiettivi di impatto sulla società.

Secondo Andrea Argenti – Country Head di Lombard Odier Asset Managemet presente all’ultima edizione del Salone – dal 2020, seppur in una popolazione che cresce, il capitale umano (ovverosia la forza lavoro a livello globale) è diminuito e ciò fa sì che ci sia una minore crescita economica non solo a livello nazionale, ma globale.

Secondo Argenti, per sbloccare questa situazione di crescita in rallentamento, i governi stanno investendo con lo scopo di stimolare la crescita economica e lo stanno facendo in maniera “responsabile”, vale a dire non più basandosi sui consumi ma su infrastrutture sostenibili, che tutelino anche il capitale naturale.

Ecco che quindi la sostenibilità si conferma nuovamente una grande opportunità di investimento, non solo a livello istituzionale ma anche per i consumatori e gli investitori. In più, il suo connubio con “fattore umano” e la sua valorizzazione non potranno che essere un grande motore per la creazione di valore e la crescita sociale.