Sempre piu’ di frequente le aziende giapponesi riempiono la lista della spesa delle societa’ cinesi. Se la tendenza sara’ confermata, alla fine del 2010 piu’ di 30 aziende avranno ceduto la loro proprieta’ ad acquirenti cinesi. Il numero e’ stato di venti lo scorso anno, otto nel 2007, due nel 2004. Si tratta dunque di una scalata impressionante, anche se la base di partenza era molto ridotta. Le transazioni hanno trasferito alle ex proprieta’ nipponiche 2 miliardi di Yen nel 2004 e 17 nel 2009. Attualmente la Cina e’ responsabile del 27% di tutte le M&A in Giappone. Sebbene non ancora ratificata, l’ultima operazione e’ probabilmente la piu’ eclatante. La Ruyi, il gigante tessile dello Shangdong, ha raggiunto un accordo per l’acquisto del 41% della Renown, diventandone di conseguenza il maggior azionista. L’azienda giapponese, che l’anno scorso ha venduto la storica azienda inglese Aquascutum, ha bisogno di capitali, di ridurre i costi, di crescere, possibilmente in nuovi mercati. La Cina appare la soluzione a portata di mano, seppure a costo della cessione di una quota di proprieta’ significativa. L’investimento e’ il primo nell’industria tessile-abbigliamento in Giappone. Se ne erano tuttavia verificati altri in settori differenti. La BYD, societa’ elettrico/automobilistica cinese, dove Warren Buffett vanta una quota del 10%, ha acquisito un fornitore giapponese di stampi. La Suning, una catena cinese di distribuzione di elettrodomestici, ha acquistato la maggioranza della Laox, un ex concorrente giapponese.
L’obiettivo e’ stato duplice: riorganizzare i negozi nelle metropoli nipponiche ed aprire nuovi punti vendita in Cina, sotto il nome prestigioso di Laox. Al di la’ dei nomi piu’
famosi, le maggior parte delle acquisizioni coinvolgono piccole a aziende con importi finora limitati. Gli imprenditori cinesi non appaiono interessati al mercato giapponese, stagnante e malato di eccesso di capacita’ produttive. Ambiscono invece ad acquisire la tecnologia ed
il management dei quali sono ancora debitori. Si tratta per loro di dare maggiore qualita’ ad una base produttiva giu’ consolidata. Per le aziende giapponesi, alle prese con consumi lenti ed una popolazione anziana, i capitali cinesi sono ossigeno e le nuove partnership rappresentano la promessa di dinamismo. Sembra dunque prevalere il pragmatismo che fa giustizia, progressivamente, delle tensioni storiche tra i due paesi. Le ferite dell’occupazione giapponese e della seconda guerra mondiale non sono rimarginate e l’animosita’ politica ne amplifica gli effetti. Il mondo degli affari sperimenta altre direzioni e trova la sua autonomia per affermarsi. Gia’ dal 2007 la Cina e’ il principale partner commerciale del Giappone. Quest’ultimo e’ il primo fornitore ed il terzo cliente per la Cina. Ora la tradizionale ritrosia del Sol Levante ad aprire la proprieta’ delle sue aziende sembra messa alla dura prova dalla crisi e la Cina appare un partner credibile perche’, al di la’ delle differenze, presenta contemporaneamente capacita’ di acquisto e margini di crescita.
Vincenzo Polimeno