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Finanza personale

L’efficienza dei mercati azionari

Le ipotesi dei mercati efficienti (IME) hanno occupato una posizione centrale in finanza negli ultimi 30 anni ma costituiscono anche un fattore di aspra critica alla teoria tradizionale.
Secondo la teoria tradizionale un investitore medio non può sperare di battere il mercato in modo consistente, le ampie risorse che gli investitori destinano all’analisi e alla negoziazione dei titoli sono inutili, la migliore strategia è la strategia passiva “buy&hold”, ossia comprare e detenere passivamente il portafoglio di mercato. Questa affermazione, non facile da digerire per gli analisti, si basa su tre assunzioni progressivamente più deboli.
Innanzitutto, si assume che gli investitori siano “razionali”, nel senso che valutano i titoli razionalmente, in questo caso i mercati sono efficienti per definizione. Se questa prima ipotesi non è verificata, ossia se alcuni investitori non sono razionali si ipotizza che le loro negoziazioni svolte in modo casuale si annullino l’una con l’altra senza influenzare i prezzi.

Infine introducendo la possibilità che i comportamenti non razionali siano simili e muovano nella stessa direzione, la teoria tradizionale introduce il ruolo degli arbitraggisti, questi ultimi comportandosi in modo razionale, sarebbero in grado di rimuovere l’impatto sui prezzi generato dal comportamento degli agenti non razionali. La competizione tra gli arbitraggisti per conseguire maggiori profitti assicura il rapido aggiustamento dei prezzi ai loro valori fondamentali e i mercati, quindi, sono ancora efficienti.
L’efficienza dei mercati può assumere tre forme via via più forti.
La prima, la cosiddetta “weak form efficiency”( forma di efficienza debole), ha l’insieme informativo rilevante costituito dai prezzi e dai rendimenti passati. I prezzi riflettono tutte e solo le informazioni che si possono estrapolare dall’andamento passato dei prezzi. Secondo tale forma debole delle IME è impossibile realizzare profitti superiori, aggiustati al rischio, basandosi sulla conoscenza dei prezzi e dei rendimenti passati. Sotto l’assunzione di neutralità al rischio, questa versione delle IME è riconducibile alle ipotesi di random walks, ovvero i rendimenti dei titoli sono del tutto “imprevedibili”, non è possibile fare previsioni basandosi sui rendimenti passati (Fama, 1965).

La seconda forma di efficienza, “the semi-strong form” , (forma di efficienza semi-forte) afferma che tutte le informazioni pubbliche disponibili sono completamente riflesse nei prezzi azionari. Di conseguenza, gli investitori non possono conseguire rendimenti superiori aggiustati al rischio utilizzando strategie di compravendita basate sull’informazione pubblicamente disponibile, perché non appena l’informazione diventa pubblica, essa viene immediatamente incorporata nei prezzi; un investitore non può, quindi, guadagnare sfruttando questo tipo di informazione per prevedere i returns futuri dei titoli.
La terza forma di efficienza, “the strong form” (forma di efficienza forte) per la quale i prezzi riflettono anche le informazioni di tipo privato, che non sono disponibili a tutti, afferma che anche questi ultimi profitti, conseguibili con il trading sull’informazione privata, sono impossibili perché anche l’informazione degli insiders (direttori di società, funzionari e azionisti di rilievo) trapela, si espande, ed è incorporata quasi immediatamente nei prezzi per essere corretti.
Purtroppo (o per fortuna) i mercati non sono guidati da tali meccanismi. Nel prossimo articolo verranno analizzate le critiche mosse all’IME.