I dati mensili di raccolta dei fondi comuni di investimento confermano un trend stabile da quattro anni che vede i disinvestimenti superare gli investimenti. Solo nell’ultimo anno circa 140 miliardi di euro sono usciti dal sistema fondi (che presenta un patrimonio complessivo di circa 409 miliardi). Si confermassero questi ritmi nel prossimo lustro è facile immaginare come i fondi di investimento potrebbero addirittura scomparire dal nostro paese.
Il settore del risparmio gestito, di cui i fondi sono la massima parte, sta scomparendo dall’Italia e secondo molti autorevoli osservatori (per il diciassettesimo anno consecutivo il rapporto annuale di Mediobanca sui fondi comuni di investimento mostra come questa forma sia da ritenersi inefficiente perché la maggior parte di essi non batte il proprio benchmark), potrebbe non essere un male. Tuttavia personalmente ritengo, al contrario, che la scomparsa dei fondi comuni o la loro marginalizzazione sarebbe un elemento estremamente negativo per il Paese e per i risparmiatori.
In Italia i fondi comuni di investimento sono il principale investitore istituzionale. Danno stabilità al mercato e favoriscono l’ingresso in Borsa di società anche di media dimensione. La fuga indiscriminata dai fondi ha pesato e pesa nella situazione attuale dei mercati perché obbliga i gestori a vendere anche titoli in cui credono, costretti dalla necessità di far fronte ai massicci disinvestimenti. Senza fondi comuni l’economia italiana sarebbe più povera e più asfittica.
In più, nel portafoglio delle famiglie, i fondi comuni costituiscono un elemento importante di diversificazione e riduzione del rischio. Sono l’unico strumento di investimento accessibile a chiunque e facilmente utilizzabile per costruire portafogli equilibrati.
I fondi perdono il confronto con i benchmark e dunque, sostiene Mediobanca, sono inefficienti. Peccato che la stragrande maggioranza dei risparmiatori non sia in grado di investire in indici e comporre da sé asset allocation razionali senza l’aiuto di un gestore. Nella realtà accade infatti che, uscendo dai fondi, i risparmiatori aggregano incredibili miscele di titoli, di volta in volta suggeriti da intermediari, amici o giornali, senza un filo logico. Dopo anni di ingegneria finanziaria scatenata, i portafogli di molti risparmiatori sono zeppi di obbligazioni strutturate, certificati, polizze di cui non conoscono il funzionamento e il livello di rischio.
Chiunque faccia il nostro lavoro incontra clienti che hanno perso fette importanti del proprio patrimonio senza neppure sapere come riuscire a valutare la perdita. Se anche un risparmiatore ha scelto malauguratamente fondi non adatti alle sue esigenze o gestiti in modo mediocre, sa sempre a quanto ammonta il suo capitale e ne può chiedere immediatamente la liquidazione sul conto corrente. La normativa dei fondi comuni e i controlli incrociati mettono lo strumento al riparo da bancarotte, abusi e rischi indebiti: una tranquillità particolarmente preziosa in questi tempi di fallimenti e titoli avvelenati.
Far da sé in materia di investimenti è rischioso, a meno di dedicare tempo e attenzione alla finanza. Per la maggioranza dei risparmiatori, impegnati in attività lontane dalla finanza, scegliere l’asset allocation corretta per le proprie esigenze non è affatto semplice. Ci si affida di solito allo sportello bancario presso il quale si ha un conto corrente.
Ma proprio le banche (compreso Bancoposta) sono diventate l’intermediario che ha più di ogni altro favorito la fuga indiscriminata dal fondi comuni: la necessità di incrementare la raccolta diretta di liquidità ha sostenuto il collocamento massiccio di obbligazioni proprie come alternativa ai fondi. Le reti di promotori finanziari non solo hanno collocato meglio (la composizione dello stock di fondi collegabile alle reti è più simile a quello di altri paesi evoluti), ma sono stati più efficienti nell’assistenza ai clienti (minori disinvestimenti).
I clienti dei promotori finanziari hanno potuto confrontarsi con una persona esperta prima di compiere scelte e proprio questa competenza ha aiutato la consulenza sull’investimento di queste importanti forme finanziarie che risulta, oggi, ottenere meno consenso di quanto ne meriterebbe.