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Economia e Dintorni

Materie prime in ribasso: l’economia globale risponde così all’inflazione?

Nelle ultime settimane i prezzi delle materie prime si sono ridotti a causa dei timori di una prossima recessione economica, come scudo contro l’inflazione galoppante. Inoltre, il conflitto armato tra Russia e Ucraina continua a provocare grande volatilità nel mercato con prezzi che continuano ad essere elevati, nonostante il calo dell’ultimo mese e la riduzione dei consumi di cereali.

Al tema del ribasso delle materie prime si aggiunge il prezzo del petrolio che – già da giugno – si è indebolito a causa dell’elevata inflazione, delle politiche sui biocarburanti e delle minacce di una brusca frenata dell’economia globale, dopo l’aumento dei tassi di interesse da parte di FED e BCE per frenare la corsa dell’inflazione. Il fantasma della recessione ha mandato KO i listini europei, ma può essere un segnale positivo nella lotta all’inflazione?

Prezzi delle materie prime in calo e inflazione: effetto del rialzo dei tassi e della paura di recessione?

I timori di una imminente recessione hanno portato ad un calo dei prezzi di molte materie prime, con il rame che ha perso in due settimane un quarto del suo valore, così come l’alluminio e lo zinco; anche le quotazioni dell’acciaio sono in flessione. Del ribasso dei prezzi hanno “beneficiato” anche diversi beni alimentari: il grano attualmente viene scambiato a circa il 30% in meno rispetto alle scorse settimane. Sul cereale influisce anche una stabilizzazione del mercato dopo le violente oscillazioni causate dalla guerra, così come le prospettive di un possibile accordo per la ripresa dell’export dall’Ucraina.

Da questi riscontri parrebbe che le strategie delle banche centrali inizino a produrre degli effetti. Il rialzo dei tassi di interesse rende, infatti, più costosi investimenti e prestiti e questo provoca un rallentamento dell’economia, quindi pressioni al ribasso sui prezzi. I primi a risentire degli effetti dell’aumento dei tassi sono i prezzi industriali, in un secondo momento anche quelli al consumo e quindi l’inflazione, ma l’ipotesi di un crollo della domanda si riflette anche sul prezzo del petrolio che nell’ultimo mese ha perso il 16% del suo valore, venendo scambiato sulla borsa di Londra sotto i 105 dollari al barile e su quella di New York sotto i 101 dollari.

Ad incidere anche qui è la paura di una recessione e di un conseguente calo della domanda, oltre all’indebolimento dell’euro che negli scorsi giorni ha raggiunto la parità col dollaro (fenomeno che non accadeva dal 2002), ponendo fine ad un lungo periodo in cui la valuta UE era sempre stata la moneta più forte. Inizialmente gli analisti ritenevano che un euro debole potesse essere un fattore positivo per le esportazioni; adesso lo considerano, invece, un ulteriore elemento di pressione sui prezzi come inflazione importata.

Prezzi delle materie prime e inflazione: dove vanno le quotazioni di gas e petrolio?

Con il crescere dei timori di recessione e il calo dei prezzi di diversi metalli e materie prime agricole, nelle ultime settimane i mercati obbligazionari hanno prezzato un significativo inasprimento dei tassi delle banche centrali. Allo stesso modo, il ridimensionamento del prezzo del greggio potrebbe essere un toccasana per i Paesi occidentali, in gran parte consumatori di energia. Al contrario, non è una buona notizia per la Russia che vede diminuire gli extra-profitti che servono per finanziare la sua costosissima guerra contro l’Ucraina.

Da inizio anno il guadagno del petrolio, infatti, si è ridimensionato intorno al +30%. Non è meno problematica la questione del gas naturale in Europa che supera i 165 euro per megawatt/ora, complici anche gli scioperi in Norvegia che potrebbero portare a una riduzione della produzione fino al 25%. Per i paesi consumatori è quindi urgente agire subito, mettendo un tetto al prezzo di gas e petrolio, anche per sganciarsi dal giogo ricattatorio di Mosca.

Situazione Italia e prezzi delle materie prime: rallentare l’economia per combattere l’inflazione è la soluzione?

In questa situazione l’Italia tenta di correre ai ripari. Il governo italiano, infatti, ha approvato lo scorso 22 giugno nuove misure per aiutare famiglie e imprese a far fronte all’impennata dei costi dell’energia e a potenziare lo stoccaggio del gas. Il valore del pacchetto di aiuti è di circa 3,3 miliardi di euro, che si andrà a sommare agli oltre 30 miliardi di euro messi a bilancio da gennaio per attenuare l’impatto degli elevati prezzi di elettricità, gas e benzina. Gli importatori di gas dovranno pagare un contributo mensile fino a marzo 2023 per ridurre le bollette energetiche dei consumatori (si legge nella misura); Roma specifica, inoltre, che rimborserà le imprese che registreranno perdite.

Tuttavia, in questo contesto macroeconomico, l’inflazione non ha ancora compiuto una decisa svolta al ribasso. Per questo motivo non si dissolveranno in fretta i timori sul fatto che le aspettative inflazionistiche a medio-lungo termine possano essere “sganciate” dagli obiettivi di inflazione delle banche centrali e ciò potrebbe ostacolarle nell’intervenire qualora si dovesse verificare una recessione. L’ipotesi di fondo resta comunque quella che un rallentamento dell’economia a livello globale potrebbe aiutare le banche centrali a tenere un po’ più lontana la paura dell’inflazione.