Categorie
Investimenti e mercati

Pir 2.0, c’è il decreto: ma per
i mercati sono già bocciati

Pubblicato in Gazzetta ufficiale il 7 maggio

I nuovi Pir sono finalmente pronti per i mercati dopo quattro mesi di stallo e attesa. Il governo ha emanato il decreto attuativo il 30 aprile, anche se le novità sui vincoli di investimenti in startup preoccupano Bankitalia che li ha definiti pericolosi per i risparmiatori. E non entusiasmano neanche gli addetti ai lavori, che si augurano tra sei mesi arrivi un intervento migliorativo alla normativa.

Proprio agli investitori, i Pir, erano piaciuti tanto. Ma adesso il decreto, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 7 maggio, ne ha modificato i tratti prevedendo il vincolo a investire una percentuale minima, il 3,5%, su startup (con meno di 7 anni di vita) e sul venture capital, beni illiquidi e più difficili da vendere.  Trova conferma così lo schema normativo stabilito nella legge di Bilancio 2019 che modifica la legge 632 del dicembre 2016. E che tanto ha fatto discutere gli esperti.

Diffusa la delusione tra i gestori di fondi secondo i quali la legge così come è stata concepita è destinata a mettere la parola fine ai nuovi Pir. Se così fosse, il mercato sarebbe destinato a fermarsi ai 72 prodotti attualmente offerti. Il Mise tra sei mesi rivedrà la situazione “al fine di valutare opportunità di interventi normativi ulteriori”. Una forte critica arriva poi da Bankitalia, secondo cui le novità “aumentano il profilo di rischio dei Pir, strumenti di risparmio rivolti alle famiglie. Le nuove regole inoltre possono rendere più difficile il rispetto dei requisiti prudenziali di diversificazione e di liquidità previsti per i fondi Pir esistenti. Tutti costituiti nella forma di fondi aperti”.

Inoltre l’istituto sottolinea l’aumento del rischio che “i fondi registrino perdite derivanti da vendite di attività in mercati poco liquidi a fronte di episodi di forte volatilità. Tali perdite potrebbero riflettersi negativamente sui risultati dei Pir e sulla reputazione di chi li promuove. Non a caso gli investimenti dei fondi aperti italiani in titoli di Pmi italiane e in venture capital sono attualmente pressoché nulli”.