Si cerca di capire se esistano energie per un nuovo spunto o se invece sia in arrivo una fase di consolidamento dei guadagni e forse anche di correzione, un termine che puo’ anche indicare ribassi del 10% rispetto al punto massimo della fase rialzista. Sono tempi un po’ così per le borse. E, del resto, dove dovrebbero andare? All’insù, con tutti quei dati macro economici che segnalano un forte rallentamento della crescita negli Usa? All’ingiù, con i risultati aziendali che in gran parte sono migliori del previsto? Stanno ferme e semmai scendono un poco, senza dramma: nemmeno il 3% dal massimo di un mese fa.
A ben guardare Wall Street è allo stesso livello di due mesi fa e, a ben guardare, anche il cambio del dollaro (per esempio quello sull’euro) è allo stesso livello di fine marzo. Se non si muove la valuta americana, al ribasso s’intende, l’S&P non può salire e, di conseguenza, zizzagano anche le borse europee. I fondamentali dell’economia contano assai poco, perché quel che muove i mercati azionari, così come quelli delle materie prime, è soprattutto la liquidità, specie quella creata artificialmente dalle banche centrali. Da quando, un mese fa s’è inceppato il meccanismo del carry trade sul dollaro, una delle principali fonti di liquidità e di speculazione, è venuto a mancare il motore del rischio sui mercati finanziari.
Il meccanismo s’è inceppato perché un marcato rallentamento della crescita economica, in Giappone, in parte in Cina, e sicuramente negli Stati Uniti, ha costretto gli investitori a ripensare le strategie: in sostanza li ha obbligati a rimborsare i dollari presi a prestito a interessi quasi zero e a liquidare di conseguenza le commodity e le azioni acquistate a debito. All’incertezza sulle sorti dell’economia, si aggiunge quella, al momento più preoccupante, sulle future decisioni della Fed in tema di politica monetaria.
Cosa succederà fra un mese, quando la banca centrale avrà concluso gli acquisti per 600 miliardi di dollari? Che Ben Bernanke proponga una terza fase di quantitative easing, sembra piuttosto improbabile vista l’opposizione di alcuni membri della Fed. Che decida di non far niente, in presenza di un’economia zoppicante, è ancora meno probabile. Capiremo qualcosa di più nelle prossime settimane, ma nel frattempo non possiamo nemmeno attenderci una direzione precisa di Wall Street e di tutti gli altri principali mercati finanziari.
AZIONI EURO. Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio negativo la settimana; infatti troviamo Francoforte che con il suo Dax30 ha perso l’ 1,4% mentre Parigi con il Cac40 (-1,04%) ed infine Londra con il suo Ftse100 (-0,20%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore delle risorse di base (+2,60%), seguito da quello bancario (+0,50%) ed infine da quello del commercio (+0,12%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore tech (-2,,35%), seguito da quello dei media (-1,68%) ed infine quello delle tlc (-1,47%). Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Repsol (+2,59%), Santander Act (+2,26%) e Bnp Paribas (+1,06%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Total (-3,74%), Deutsche Telekom (-3,54%) ed infine Crh (-3,22%).
ITALIA. Piazza Affari chiude la settimana con un ribasso del nostro indice, trainato al ribasso ed oramai non è più una novità dal comparto bancario zavorrato dalle vendite, complice le dichiarazioni del presidente dell’Eurogruppo che il Fmi (orfano di Strauss-Kahn) non avrebbe intenzione di pagare la prossima tranche (prevista per fine giugno) di aiuti per la Grecia, e quindi si chiederà ai Paesi europei riluttanti di farlo loro. E’ noto però che certi parlamenti (leggi Germania, Finlandia, Paesi Bassi ecc. ecc.) non sono pronti a farlo.
La settimana si è chiusa con un ribasso dello Ftse/Mib (¬-1,97%), terminando le contrattazioni a 20831 punti, ma non dobbiamo dimenticare che lunedi scorso ben 25 società del Ftse Mib hanno staccato il dividendo e questo ha pesato nell’ordine di quasi due punti percentuali (per essere precisi ha pesato 1,79%). Da un punto di vista tecnico il quadro di breve periodo è diventato negativo e soltanto un pronto ritorno sopra i 21000 punti potrà far pensare un attacco al target intermedio di area 21.500 punti; di contro il supporto in area 20.400 è uno spartiacque importante che potrà evitare un ulteriore approfondimento dell’indice verso il supporto psicologico rappresentato dai 20.000 punti.
Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Fiat (+3,38% spinta al rialzo dalle tante promozioni di rating ed aumenti di tp avvenuti nel corso della settimana e non ultime quelle di Mediobanca, Equita Sim, Kepler e Unicredit Mib, ms in positivo ha sorpreso la promozione e l’aumento del target price di Mediobanca a 11,80 euro…staremo a vedere), Tenaris (+1,45% spinta al rialzo dalla promozione di Cs che ha messo in evidenza come gli investitori dovrebbero iniziare a guardare con molto interesse alla recente sottoperformance di Tenaris e nel breve termine la società dovrebbe beneficiare degli elevati prezzi del petrolio, oggi in area 101 dollari al barile) ed A2A (+1,3% rialzo dovuto alla promozione di Deutsche Bank che ha visto al rialzo il tp della scoietà portandolo da un euro a 1,05 euro) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Mediaset (-11,14% ribasso dovuto ai giudizi negativi delle numerose società e banche d’affari), Finmeccanica (-8,19% ribasso dovuto fortemente penalizzata da un report “cervellotico” di Goldman Sachs che ha gettato nel sell numerosi operatori ed investitori) ed infine Bpm (-7,09% ribasso dovuto alle dichiarazioni giunte nella giornata di giovedi da parte del presidente Ponzellini che ha mostrato prudenza di fronte al possibile ingresso di fondazioni nel capitale della banca meneghina).
AZIONI USA. Durante la settimana il mercato azionario americano ha provato a muoversi sulla parte bassa, ma da un lato l’abbassamento dei tassi d’interesse e dall’altro l’arretramento del Dollar Index hanno garantito a Wall Street una migliore sorte settimanale nel finale. L’S&P500 ha tentato di spingersi sul downside, violando prima la media-mobile a 50-giorni a 1.329 punti, per poi andare a testare la media-mobile a 100-giorni a 1.316 punti senza violarla, per poi rimbalzare.
Il mercato è andato incontro al week-end lungo del Memorial Day, giorno che sancisce l’ingresso nella driving-season, evitando cedimenti, mentre un insieme di fattori concorrono a rendere il mercato più rischioso. Tecnicamente sull’S&P500 in alto si guarda alla zona di resistenza a 1.361-1.370 punti,
per poi valutare in basso invece la media-mobile a 100-giorni a 1.316 punti seguita dal livello statico di 1.249 punti.
Intanto la media-mobile a 200-giorni continua a salire, essendo ora a 1.243 punti. Il mercato azionario si muove in un frangente di crescente incertezza. Suddetta sensazione non giunge dal fronte microeconomico-societario. Il Q1 2011 si sta concludendo con un rialzo degli EPS societari di +18,21% y/y e con i fatturati in crescita. Tuttavia l’incertezza deriverebbe in parte da un rallentamento dei numeri macroeconomici ed in parte dallo stallo politico che si è diffuso in seno al parlamento americano.
Per quanto concerne la macroeconomia, durante la settimana se si eccettua il dato delle vendite di case nuove a 323mila unità contro le 300mila unità attese, dato peraltro che nella serie storica si muove sui bassifondi grafici, sia gli ordini di beni durevoli che il GDP americano hanno rallentato, lasciando emergere la possibilità che in seno alla rassegna possa al momento essere in corso uno “slow-down” (rallentamento) della crescita. Gli ordini di beni durevoli con il -3,6% m/m di aprile hanno finito per rallentare su base annua da +14,4% a +4,0% y/y, mentre il GDP ha fatto segnare soltanto +1,8% q/q annualizzato a fronte del +2,2% q/q annualizzato atteso, complice un andamento dei consumi più debole.
La macro americana dovrebbe continuare ad evidenziare crescita nel corso del 2011 sebbene diverse case abbiano proceduto a sforbiciarne i numeri. La fonte d’incertezza maggiore però deriverebbe dall’annosa e cruciale trattativa in corso a Capitol Hill a Washington in materia di “debt-ceiling” (tetto -legale di debito pubblico) americano.
OBBLIGAZIONI EURO. Per quanto riguarda il mercato obbligazionario europeo, Lunedì 23 maggio sono state avviate le operazioni per la raccolta sul mercato dei fondi necessari sia per sostenere il Portogallo che per fornire nuovi aiuti all’Irlanda per un totale di 15,3 Bln €. E si andrà avanti fino al 15 luglio. I titoli emessi dall’Efsm e dall’Efsf, denominati in euro, hanno scadenza quinquennale e decennale. Per questo tipo di obbligazioni, secondo il direttore generale dell’ Efsf, Klaus Regling, stando a quanto ha riportato il Financial Times, ci sarebbe un crescente interesse della Cina e degli investitori asiatici.
Nel corso della settimana il Commissario Ue agli Affari economici, Olli Rehn, ha dichiarato che “fra i tre Paesi che hanno ricevuto il salvataggio targato Ue-Fmi il caso più difficile è rappresentato dalla Grecia”. La situazione che si è venuta a creare nel Paese ellenico non solo difatti sta provocando una frattura profonda in seno alle istituzioni europee su come risolverla (ristrutturazione del debito con allungamento delle scadenze o taglio del pagamento ai creditori oppure ripianamento del buco di bilancio ellenico grazie al contributo degli altri stati membri dell’Eurozona) ma sta portando scompiglio anche tra gli stessi esponenti del Pasok, attualmente al governo, circa l’uscita o meno del Paese dall’euro.
In seno alla Ue tutti sono concordi che i 110 Bln € concessi alla Grecia l’anno scorso non sono sufficienti per permettere al governo di far fronte ai titoli in scadenza fino alla fine del prossimo anno, ma tra loro non c’è ancora nessun accordo su come colmare la voragine. Prosegue nel frattempo la missione nella capitale ellenica della “troika” per valutare lo stato delle riforme in vista dell’erogazione della 5^ tranche del prestito varato lo scorso anno. Sul mercato domina il timore di un nuovo dilagare della crisi debitoria nell’Unione monetaria.
Particolarmente allarmante sarebbe la prospettiva di ulteriore contagio di paesi periferici di dimensione importante come la Spagna, dove il governo ha appena incassato la pesante sconfitta delle amministrative, e l’Italia il cui outlook è stato rivisto da Standard & Poor’s da “stabile ” a “negativo”. La decisione riflette la previsione dei rischi collegati al piano di riduzione del debito nel periodo 2011-2014 e implica una possibilità su tre che i rating possano essere ridotti nei prossimi 24 mesi. All’indomani del taglio la stessa agenzia di rating internazionale ha però dichiarato di non prevedere che l’Italia chieda il sostegno finanziario della comunità internazionale anche in ragione della dimensione del debito. Nel corso della settimana è scattata la corsa del mercato verso il “solido” bund tedesco, il cui rendimento è sceso sotto il tetto del 3% per la prima volta da metà gennaio.
OBBLIGAZIONI USA. Durante la settimana il mercato obbligazionario americano ha prodotto un andamento di consolidamento sulla parte alta, con i tassi d’interesse intenti a comprimersi. Il rendimento dei treasuries a 2 -anni è calato attestandosi a 0,48%, mentre quello dei titoli di stato a 10-anni si è mosso provando a cadere attorno a 3,0 7%. I tassi a 30-anni USA hanno quotato attorno a 3,24%. Il movimento dei titoli di stato è risultato rafforzativo alla luce da un lato della questione legata alla difficoltà fiscali dei paesi periferici europei e dall’altro del rallentamento mostrato nelle ultime rilevazioni da alcuni dati macroeconomici.
In materia di crisi fiscali l’azione delle case di rating sui giudizi relativi ai debiti pubblici dei paesi periferici europei ha fatto aumentare l’avversione al rischio inducendo gli investitori a riversarsi sui treasuries. Sotto i riflettori ricade la Grecia, le cui vicissitudini fiscali sono all’ordine del giorno. Per quanto riguarda invece il rallentamento della crescita di alcuni parametri della rassegna macro americana, si teme che il rialzo dell’inflazione legata al cibo e all’energia possa aver fatto rallentare i consumi, sebbene il dollaro debole ed i tassi bassi esercitino un deciso controbilanciamento in tal senso. Il quadro macro americano continua a contraddistinguersi per la sua crescita ma i timori di un suo smussamento all’ingresso nel secondo semestre remano a favore del bond-market statunitense.
In materia d’inflazione con il prezzo del crude-oil ad oltre 100$ al barile e con il prezzo del gasoline a 3,79$ al gallone contro i 2,76$ al gallone dell’anno precedente la dinamica dei prezzi resta al momento in balia dei prezzi delle materie prime, essendo essa vista da molti macroeconomisti come fonte di rallentamento. La classe dei bonds governativi USA si muove in attesa di schiarite mentre ci si avvicina al termine del QE2 previsto per la fine di giugno e soprattutto mentre il tetto legale di debito pubblico americano è stato raggiunto a 14,29 trillioni di dollari in data 16 maggio. La macroeconomia in un frangente in cui il debito pubblico legale ammonta al 95% del PIL nominale risulta certamente più legata alla politica fiscale di quanto lo sia stata in passato.
Una politica fiscale più restrittiva potrebbe ridurre la crescita del PIL americano ed avere controindicazioni deflattive. Viceversa, un’ulteriore espansività delle esposizioni debitorie statali potrebbe finire col destabilizzare il valore del dollaro creando un potenziale inflattivo non per forza salutare sulla crescita. Il quadro procede insomma all’insegna di una maggiore incertezza politica, che finisce col sostenere i treasuries. Riflettori però puntati sui dati occupazionali di venerdì, per valutare se l’attuale rallentamento macro possa investire anche il labormarket.
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