DATI. Sono segnali di grande valore quelli che sono giunti nel corso delle ultime ore dal fronte macroeconomico, segnali che potrebbero condizionare l’andamento dei mercati nel corso delle prossime settimane. Nel corso della settimana, un dato importantissimo per quanto riguarda il fronte europeo è giunto da Francoforte; infatti se la conferma dei tassi di interesse all’1,25% in questa occasione era data per scontata, i mercati avevano scommesso in grande stile in un’escalation anti-inflattiva della Bce, che si pensava avrebbe promesso una ‘strong vigilance’ sull’andamento dell’inflazione.
Nel corso della conferenza stampa post-meeting, il presidente Jean Claude Trichet ha tuttavia usato perifrasi alternative per garantire che l’evoluzione dei prezzi sara’ seguita ‘da vicino’ ma la decisione di non usare quella formula specifica e’ stata vista come un segnale specifico.
Gli operatori hanno cosi’ tratto la conseguenza che l’aumento non verra’ prima di luglio e hanno cominciato a vendere euro a favore del dollaro. Proprio nei minuti in cui Trichet parlava in conferenza stampa spiegando di non avere una posizione sull’andamento dell’inflazione rispetto alla Fed, che la considera ‘transitoria’ e come tale non una vera minaccia, a Washington usciva un dato molto deludente sulle richieste iniziali di sussidi di disoccupazione, balzate contro ogni attesa di 43mila unita’ a 474mila nell’ultima settimana. L’impatto sul prezzo del greggio, nel timore di una frenata dei consumi a fronte di un’occupazione ancora in difficolta’, ha provocato un crollo del 9% del prezzo del greggio che peraltro ha risentito anche del rafforzamento del dollaro e del capitombolo dell’argento, che nel giro di pochi giorni, da quando il Chicago Mercantile Exchange ha alzato i requisiti sui collaterali da presentare per poter fare trading sul metallo prezioso, ha ceduto oltre il 25% del suo valore.
DIPARTIMENTO LAVORO. Il rapporto sul mese di aprile del dipartimento del Lavoro ha poi confermato il quadro di instabilita’ del mercato occupazionale. A fronte di una crescita superiore alle attese nel mese dei nuovi posti di lavoro (244mila contro attese per un +175mila), il tasso di disoccupazione e’ risalito al 9% dall’8,8% di marzo. Dalla settimana entrante si cercheranno dunque conferme all’andamento della ripresa nella speranza che un’eventuale accelerazione del ritmo di crescita possa lasciar presagire un netto miglioramento del quadro occupazionale nei prossimi mesi. Sotto osservazione inoltre l’andamento dei prezzi delle commodity: un ridimensionamento del costo del petrolio e’ considerato una buona notizia perche’ puo’ aiutare a consolidare la ripresa ma ovviamente si spera che i ribassi non siano sinonimo di bassi consumi.
Ma non è il caso di farsi prendere dal panico. Almeno per ora, almeno per un po’ di tempo ancora. In tutti i casi posso scorgere caratteri simili a quanto avvenuto in settimana: caduta delle materie prime, discesa delle borse e rincorsa ai titoli di stato a breve. Tutti gli episodi hanno avuto un comune denominatore: l’apprezzamento del dollaro. Succederà ancora in futuro e non è il caso di drammatizzare.
AZIONI EURO. Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio negativo la settimana; infatti troviamo Londra che con il suo Ftse100 ha perso il 1,50% mentre Parigi con il Cac40 (-1,20%) ed infine Francoforte con il suo Dax30 (-0,34%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore automotive (+4,68%), seguito da quello alimentare (+4,12%) ed infine da quello delle costruzioni (+3,99%) mentre in lettera non dobbiamo segnalare nessun settore. Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Sanofi Aventis (+3,39%), Philips Kon (+2,47%) ed Unilever (+2,07%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Vivendi (-9,42%), E.On (-6,39%) ed infine Alstom (-5,54%).
ITALIA. Piazza Affari chiude la settimana con un ribasso del nostro indice, trainato al ribasso dal comparto bancario zavorrato dalle vendite per le pessime trimestrali pubblicati da Societe Generale e Lyods Bank che hanno determinato vendite su tutti i titoli del comparto bancario. La settimana si è chiusa con un ribasso dello Ftse/Mib (¬-2,07%), terminando le contrattazioni a 21953 punti. Da un punto di vista tecnico il quadro di breve periodo è diventato contrastato e fondamentale sarà la riconquista dei 22300 punti per poi tentare l’attacco ai 23300 punti, massimo annuale passando per la resistenza dinamica dei 22700 punti; di contro il ritorno sotto i 21600 farebbe diventare il quadro negativo ed alimenterebbe le basi per un nuovo rimbalzo dove si potrebbero realizzare qualche opportunità di acquisto ma se si rompesse il supporto dei 21000 punti si inizierà a parlare di fase ribassista e non di semplice correzione tecnica.
Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Diasorin (+4,53% spinta al rialzo dalla conferma del rating buy con target price a 38 euro da parte di Ubs. La trimestrale della società sarà diffusa il 13 maggio e Ubs si attende ricavi a 110 mln, un Ebitda a 50 mln, un Ebit a 44 mln e un Eps a 0,5 euro), Parmalat (+1,78% spinta al rialzo dalla presentazione di un ricorso da parte del Codacons al Tar del Lazio in quanto l’Opa su Parmalat presentata da Lactalis, un’impresa francese che da anni non pubblica i bilanci, viola i principi del Testo Unico della Finanza e del Regolamento Emittenti) e Snam Rg (+1,75% rialzo dovuto all’ipotesi di cessione ventilata nel corso della settimana e il mercato sembra avere apprezzato. Infatti nell’ultima settimana l’Ue ha concordato con la linea della società Eni e cosi l’ad Scaroni potrà guardare con tranquillità all’interesse degli azionisti e cercare la soluzione migliore senza fretta”.
Secondo Intermonte l’opzione della cessione di Snam Rete Gas è concretamente allo studi “anche se i tempi potrebbero essere piuttosto lunghi) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Egp (-5,49% ribasso dovuto all’approvazione del governo del decreto per le fonte rinnovabili e per il minor appeal dedicato dai media dopo le drammatiche vicende giapponesi), Intesa San Paolo (-4,10% ribasso dovuto ai pessimi dati trimestrali pubblicati nel corso della settimana da Societe Generale e Lyods Bank e addirittura nell’ultima seduta sembra aver snobbato il downgrade inflittogli da Moody’s) ed infine Saipem (-3,86% ribasso dovuto alla caduta libera del petrolio che nel corso dell’ultima settimana ha accusato una perdita a doppia cifra ).
AZIONI USA. Per quanto riguarda il mercato azionario americano in settimana ha dovuto arretrare di fronte al sell-off che ha interessato il commodity-market. La decisione presa dal CME Group Ltd, la società proprietaria del Comex, di rialzare in modo deciso i margini sul future dell’argento, portandoli da 11,745$ a 21,600$ per singolo contratto, ha indotto coloro che non erano in grado di adeguarsi alla nuova marginazione a chiudere le posizioni facendone crollare il prezzo. Ciò ha generato la caduta dei prezzi delle commodities alimentando la sensazione che il CME Group Ltd possa con una maggiorata marginazione smontare la leva su cui si regge anche il mercato delle materie prime. Senza il supporto del commodity-market l’equity-market americano appare più vulnerabile sulla carta.
Già costretti gli indici americani negli ultimi 2 anni a muoversi in un environment di smontaggio della leva finanziaria che era stata costruita sul fronte del mercato immobiliare, un’eventuale smontaggio della leva anche sul commodity-market per il tramite di una marginazione più sostenuta potrebbe privare i mercati azionari del valido supporto che ha permesso all’S&P500 nella sua risalita di più che raddoppiarsi nell’arco di un biennio. La creazione di oltre 6 trillioni di dollari insita nella risalita dell’S&P500 dell’ultimo biennio ha tratto anche parte della sua ragion d’essere dalla capacità delle materie prime di apprezzarsi.
Un arretramento delle quotazioni delle commodities, per quanto benefico per comprensibili ed ovvi motivi per diverse arene settoriali, potrebbe finire con lo stroncare sul nascere la benevola spinta inflazionistica che stava provando a germogliare, ricacciando i sistemi economici in territorio deflattivo.
L’accumulazione di ampie masse debitorie a-latere del divenire del ciclo micro-macro implica la necessità di registrare più inflazione al fine di smussare il peso reale del debito in circolazione. La relazione tra equity-market e commodity-market è cangiante in base a due variabili: il peso dei titoli delle materie prime all’interno dei benchmarks azionari e la detenzione delle materie prime all’interno delle banche che compongono i listini. Lì dove queste due variabili risultano numericamente elevate i listini azionari dovrebbero soffrire maggiormente in caso di rintracciamenti ribassisti da parte del commodity-market. D’altro canto, invece, una discesa dei prezzi delle materie prime dovrebbe favorire un miglioramento dei margini operativi delle società appartenenti agli altri settori aumentando la percentuale di spending-power da dirottare sui consumi da parte dei consumatori americani.
Con i crack-spreads così elevati è probabile che l’S&P500 possa avere delle difficoltà a ben performare senza il supporto del commodity-market. Per il momento il mercato azionario americano, pur avendo arretrato in settimana a -1,72%, è riuscito a rimanere sulla parte alta del grafico, grazie al dato dei nuovi occupati di fine ottava. Nel mese di aprile la macroeconomia americana ha prodotto +244mila posti di lavoro, battendo il dato stimato di +185mila e col dato di marzo rivisto al rialzo da +216mila a +221mila. Il dato di febbraio anch’esso è stato rivisto al rialzo, passando da +194mila a +235mila. La stringa numerica dei non-farm-payrolls appare buona. Essa succede al quarto quarto, periodo in cui vi era stata un’espansione decisa del consumer-spending a vasto raggio. Ad essa è seguita un’espansione del labormarket. La sorpresa positiva complessiva del report di aprile ammonta a +105mila posti di lavoro.
Nei primi 4 mesi del 2011 sono stati creati 768mila posti di lavoro. Molto se si pensa che nei primi 4 mesi del 2010 i posti di lavoro creati erano stati pari a 345mila. Le trimestrali continuano ad evidenziare una crescita degli EPS robusta, a +18,41% y/y dopo 439 trimestrali e dei fatturati. Il quadro microeconomico numericamente è espansivo, mentre la macroeconomia conferma una crescita del mercato del lavoro americano. Tuttavia con le commodities in discesa l’S&P500 potrebbe fare fatica.
Durante il consiglio direttivo che questo mese si è riunito a Helsinki, in Finlandia, la Bce ha deciso di prendersi una pausa lasciando fermi i tassi d’interesse all’1,25% per non sconvolgere i mercati, le aziende e le famiglie che pagano il mutuo con una stretta monetaria al mese. Dopo il rialzo di un quarto di punto deciso il mese scorso, i banchieri dell’Eurotower hanno discusso della tempistica del prossimo intervento, se a giugno o a luglio. L’inflazione europea balzata ad aprile al 2,8%, sui massimi degli ultimi tre anni, assieme alla tenuta della ripresa nelle principali economie dell’area euro, ha fatto propendere nell’immediata vigilia qualche economista per una stretta monetaria anticipata.
A suggerire prudenza però al consiglio direttivo, nel quale ha fatto il suo esordio il neo-presidente della Bundesbank Jens Weidmann, potrebbero essere stati invece l’euro tornato ad avvicinarsi alla soglia degli 1,50 dollari, e le difficoltà economiche di Grecia e Portogallo. Per la prima si continua a parlare di ristrutturazione del debito nonostante gli aiuti europei; per il secondo Paese appare inevitabile una recessione data la crescita strutturalmente debole e i tagli di bilancio. Ebbene il numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, nella consueta conferenza stampa post meeting, ha dichiarato che l’Eurotower continuerà a monitorare molto attentamente gli sviluppi dell’inflazione.
Un’espressione questa che lascia presagire ad un nuovo rialzo dei tassi, probabilmente sempre da un quarto di punto (all’1,50%) nel meeting di luglio. Nel frattempo nel corso della settimana il Portogallo ha raggiunto un accordo con l’Unione Europea, la Bce e il Fondo Monetario Internazionale per il piano di aiuti triennale a 78,0 Bln €. Oltre il 15% di questa cifra sarà destinato al settore bancario. La nazione dal punto di vista finanziario più esposta al Portogallo è la Spagna, che con i suoi 79,0 Bln € (7,4% del Pil nazionale) precede la Francia (34,0 Bln €) e la Germania (35,0 Bln €). L’esposizione dell’Italia al Portogallo è di 6,0 Bln €, pari allo 0,4% del Pil nazionale. Il via libera agli aiuti al Portogallo sarà al centro della riunione dei ministri delle finanze dell’Ue prevista per il 17 maggio.
OBBLIGAZIONI USA. Il mercato obbligazionario americano ha vissuto una settimana di consolidamento, con i tassi d’interesse governativi che hanno reagito a quanto accaduto sugli altri mercati. A tenere banco è stato l’ampio movimento discendente subito dal commodity -market, innescatosi allorquando il CME Group Ltd, la società proprietaria del Comex, ha deciso di rialzare i margini sul future dell’argento, portandoli da 11,745$ a 21,600$ per singolo contratto. Il mercato, spaventato da una simile decisione, ha proceduto a chiudere le posizioni accumulate
anche sui futures delle altre materie prime, accelerando in tal senso dopo la caduta dell’euro-dollaro innescata dal meeting della BCE che è sembrata “meno restrittiva” in materia di tassi europei.
Ciò ha agevolato gli acquisti sui treasuries con i tassi a 10 e a 30 anni in discesa rispettivamente a 3,18% e a 4,31%, mentre il tasso a 2-anni si è attestato a 0,57%. Sotto il profilo meramente ciclico i rischi inflattivi restano dietro l’angolo, sebbene sul fronte degli assets lo smontaggio della leva alimenta le spinte deflazionistiche.
I titoli di stato americani che nelle ultime ottave si sono rafforzati, devono convivere con i movimenti di mercato delle materie prime e nel contempo con il newsflow legato al raggiungimento del tetto legale di debito-pubblico a 14,29 trillioni di dollari previsto a maggio 2011, mentre la politica monetaria appare ostaggio tanto della politica fiscale USA che necessità di riequilibrio quanto dell’oscillazione del dollaro-yuan.
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