E ci ha pensato il tandem Ue/Fmi! L’ottava appena conclusa si è caratterizzata con un profondo rosso su tutti i listini mondiali per i timori che la crisi greca possa allargarsi ad altri Paesi. Nessuno degli operatori si spinge a fare pronostici per le prossime sedute: "Da un punto di vista tecnico un rimbalzo potrebbe anche arrivare visto l’ipervenduto di questi giorni ma il timore sul livello del debito di molti Paesi resta e gli effetti della speculazione rischiano di avere un impatto sull’economia reale". "Una correzione era nell’aria perche’, considerando la crisi economica, molti titoli erano gia’ ben prezzati ma nessuno si aspettava che la flessione potesse essere cosi’ repentina". Quello che ha caratterizzato il mercato nelle ultime sedute e’ il cosiddetto "flight to quality", il cercare la qualita’ – e quindi la sicurezza – in un momento di forte volatilita’ dei mercati. "Ho sentito diverse societa’ di investimento estere che hanno alleggerito le posizioni sui cosiddetti Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna) e qualcuna ha deciso di fare altrettanto anche con l’Italia". In sostanza, prima hanno smontato le posizioni sui Paesi piu’ a rischio come Grecia e Portogallo e poi, a salire, si sono alleggeriti su Spagna e anche Italia. Ma proprio mentre scrivo mi giunge notizia che è stato approvato dal tandem Ue/Fmi un piano di salvataggio da 750 mld di euro per impedire che la crisi del debito sovrano greco si diffonda. I paesi dell’ Ue hanno accolto con favore tale piano di aiuti ed esprimono forte sostegno agli impegni presi da Portogallo e Spagna – i due Paesi considerati maggiormente a rischio in questa fase – per adottare ulteriori misure per il risanamento dei loro conti pubblici quest’anno e nel 2011. Inoltre, l’Ecofin sottolinea la necessità di compiere "rapidi progressi" per regolamentare i mercati finanziari e la vigilanza, soprattutto per quanto riguarda i mercati dei derivati e il ruolo delle agenzie di rating.
L’intento del piano è blindare la zona euro dagli attacchi della speculazione ed evitare il rischio defualt di altri Paesi dopo quello corso con la Grecia. I ministri delle Finanze si impegnano inoltre ad approfondire l’ipotesi di introdurre una tassazione sulle transazioni finanziarie affinché anche il settore finanziario debba sostenere una parte delle conseguenze delle crisi. Si tratta di un piano di salvataggio senza precedenti. Anche il presidente Usa, Barack Obama, prima dell’annuncio dell’accordo finale dell’Ecofin, ha telefonato sia al presidente francese, Nicolas Sarkozy, sia alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, sottolineando la necessità di una ”risposta forte” da parte dell’Europa per ridare fiducia ai mercati. Sulla spinta del maxi piano Ue da 750 mld, le principali borse europee hanno aperto positivamente le sedute. Francoforte ha iniziato gli scambi con un +2,8%, Parigi con un +4,7%, Londra con +1,45% e Amsterdam con +3,20%. A Piazza Affari, subito dopo l’apertura, l’Ftse Mib vola quasi al 7%. In queste condizioni comunque resto dell’avviso di restare a bordo campo e non tornare ad operare subito perchè non mi piace quando il mercato passa da un eccesso ad un altro ma attendere quando la situazione tornerà chiara e leggibile. Passando ai numeri, nella settimana della paura tutti i listini europei hanno chiuso in territorio negativo dove Parigi con il suo Cac40 ha chiuso in territorio negativo (-11,12%), seguito dall’ indice inglese Ftse100 (-8,81%) ed infine Francoforte con il suo Dax30 (-6,30%). A livello settoriale non dobbiamo segnalare in denaro nessun settore mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore bancario (-17,25%), seguito dal settore assicurativo (-13,96%) ed infine dal settore delle costruzioni (-13,68%) Fra i principali titoli non dobbiamo segnalare in nero nessun settore mentre in rosso dobbiamo segnalare Axa (-21,72% per i timori legati al default greco che hanno affossato i maggiori lisitini), Banco Santander (-19,37% per i timori legati al contagio del debito sovrano dello stato greco che potrebbe colpire anche i titoli bancari spagnoli) ed infine Bbva (-19,23% per lo stesso motivo citato per in banco Santander).
Piazza Affari chiude la settimana con un forte ribasso del nostro indice, complice la cinque giorni negativa che ha affossato anche il nostro listino per i timori legati al rischio contagio provocato dal debito sovrano dello stato greco, per la fuga di notizie che in un primo momento hanno visto Moody’s mettere in guardia anche il nostro paese per un downgrade e poi subito smentirlo. Poi, la settimana si è chiusa con una brutta anomalia ossia quella che è accaduto venerdi sul nostro listino ha dell’ incredibile, dove nel momento peggiore della settimana, la borsa chiude per quasi un’ora per un non precisato errore tecnico cosa che ha aumentato il panico tra gli investitori. Tecnicamente, dopo il piano di salvataggio annunciato da Ue/Fmi, ci sono tutte le premesse per un rimbalzo tecnico dopo volumi record e con i principali indicatori tutti in ipervenduto. Mi attendo subito un ritorno del nostro indice sui 19000 punti per poi proseguire con la riconquista dei 19500 punti. Di contro, solo con il ritorno sotto i 18500 avremo una conferma ribassista con spazio verso i 18000 punti. La settimana borsistica si è chiusa con un ribasso dello Ftse/Mib (-12,60%), terminando le contrattazioni a 18846 punti. Fra i titoli maggiori non dobbiamo segnalare in denaro nessun titolo mentre in lettera, invece, Intesa San Paolo (-19,62% titolo spinto al ribasso dai timori legati al rischio contagio della grecia e la paura del downgrade da parte di Moody’s anche per lo stato italiano), Unicredit (-18,30% titolo spinto al ribasso per lo stesso motivo di ISP e per l’elevata esposizione del titolo ai titoli greci) ed infine BpM (-18,11%).
Durante la settimana l’equity-market americano ha subito una caduta veloce, frutto del sovereign-risk (rischio di credito legato ai titoli governativi) in accelerazione nella Euro-Zone e di un flusso in vendita deciso registratosi nella seduta di giovedì, a cui si legano diversi interrogativi. L’S&P500 ha chiuso le contrattazioni a 1.111 punti, disegnando un minimo a 1.186 punti. E’ poi giunta la notizia nel week end del piano di salvataggio di 750 mld di euro. Premesso che l’ascesa dei rischi legati alle crisi fiscali dei paesi periferici europei determinando un rafforzamento veloce del dollaro possano influire negativamente sui valori di borsa dei titoli azionari americani, durante l’ottava a tenere banco sarebbe stato il price-action del Dow Jones che nel pomeriggio di giovedì in tarda serata è caduto con decisione perdendo il -9,2%, la più ampia perdita mai registrata in termini intra-giornalieri dal 1987 ad oggi. Il Dow Jones è arrivato a perdere nel suddetto frangente di trading quasi 1.000 punti, il valore più alto di sempre, per poi recuperare nel finale di seduta e chiudere a -3,20% con una perdita complessiva di 300 punti nella giornata. L’S&P500 dal canto suo, intrapresa la seduta a 1.065 punti circa è caduto fino a 1.065 punti, per rimbalzare e chiudere a 1.128 punti a -3,24%. L’ascesa degli indici azionari americani finora è stata sostenuta oltre che dal recupero dei fondamentali anche dai tassi bassi e dal dollaro debole. L’ascesa dei tassi di alcuni stati europei periferici con i governi dei suddetti costretti ad una “exit-strategy” non voluta mediante piani di austerità marcata e l’accelerazione del dollaro potrebbero giustificare ex-post l’arresto del rally in corso a Wall Street. La ripresa economica si sta finalmente consolidando ma questo non sembra bastare piu’ ai mercati finanziari per ritrovare la strada dei rialzi. Fino a qualche settimana fa, un dato come quello reso noto dal dipartimento del Lavoro, che ha visto la creazione di 290mila posti di lavoro in aprile di cui solo 60mila dal governo per il censimento e il resto tutto dal comparto privato, avrebbe proiettato i mercati in un rally senza freni. Invece anche venerdi e’ prevalso il nervosismo, segno che gli investitori guardano soprattutto alla crisi greca e al rischio di contagio ad altri paesi europei. Che piaccia o no, al momento sono soprattutto le mosse delle agenzie di rating a dettare legge e dunque c’e’ grande attesa e altrettanta ansia per cercare di capire quali saranno le loro prossime mosse.
Sul fronte macroeconomico invece gli Stati Uniti sembrano avviati verso un consolidamento della ripresa come testimoniato da vari indicatori anche nel corso dell’ultima settimana e come sottolineato dal presidente della Federal Reserve Ben Bernanke in una testimonianza di fronte al Congresso. La settimana entrante offrira’ numerose nuove indicazioni sul fronte macroeconomico. Da segnalare in particolare il dato sul commercio all’ingrosso in marzo previsto per martedi’ e il deficit commerciale sempre per marzo in calendario giovedi’. Sempre mercoledi’ il governatore della Fed di Saint Louis James Bullard offrira’ un aggiornamento sull’andamento dell’economia in un discorso a Nashville in Tennessee mentre giovedi’ il dipartimento del Commercio fornira’ la statistica di aprile sui prezzi alle importazioni. Venerdi’ il gran finale con i dati di aprile sulla produzione industriale e sulle vendite al dettaglio, due ottimi barometri per tastare lo stato di salute dell’economia americana. Sempre venerdi’ infine il dipartimento del Commercio rendera’ noto il dato di marzo sulle scorte aziendali che dovrebbero confermare l’avvenuto smaltimento delle giacenze portato avanti dalla corporate america nel corso dell’ultimo anno.
Questa settimana è stata all’ insegna della lettera per il Nikkei225 (-6,23%) trainato al ribasso (10513) per l’apprezzamento della moneta unica e per la contrazione legata ai titoli export ed infine risentendo dei timori legati al rischio sovrano del debito greco e relativo contagio per gli altri paesi dell’eurozona.
Seconda settimana consecutiva nel segno del ribasso per il mercato delle materie prime. Molteplici sono i venti che ultimamente soffiano contrari al mercato delle materie prime, dai timori di un contagio della crisi greca ad altri Paesi dell’eurozona, alla possibilità che il piano di aiuti dell’UE-FMI di 110 miliardi di euro a favore del Governo di Atene possa non essere sufficiente, alle ultime mosse restrittive sia della Banca centrale cinese (è stata aumentata per la terza volta dall’inizio dell’anno di 50 punti base la quota dei depositi che le banche commerciali sono obbligate a mettere a riserva) che di quella australiana (per la sesta volta in otto mesi è stato aumentato il tasso ufficiale di interesse di un quarto di punto). Se a questo aggiungiamo che il governo americano ha annunciato di aver rivisto al rialzo, al 3%, la propria previsione di crescita economica per gli Stati Uniti nel 2010 ecco spiegato il perché il mercato delle materie prime, nonostante le incertezze del momento, abbia potenzialmente ancora diverse frecce a disposizione nel suo arco da lanciare. Finora il 2010 è stato avaro di soddisfazioni con le quotazioni in calo di circa otto punti percentuali. Gli unici superstiti dal naufragio settimanale sono stati l’oro (+2,52%), il gas naturale (+2,42%) e il grano (+1,73%). Le più ampie variazioni in negativo sono state riportate dallo zucchero (-8,64%), dal gasolio per riscaldamento domestico (- 9,13%), dalla benzina (-11,32%), dal petrolio (-12,81%) e dal nickel (-14,33%).
Il primo contratto-future in scadenza (giugno ’10) sul petrolio WTI si è mosso nell’intervallo di prezzo 74,51 $ (livello minimo dal 16 febbraio) – 87,15 $ (livello massimo dal 9 ottobre 2008) per poi attestarsi nel finale poco sopra la soglia dei 75 dollari, a 75,11 $ al barile, in calo di undici dollari.
Settimana sugli scudi per il mercato dell’oro il cui primo contratto-future in scadenza quotato al Comex ha chiuso gli scambi a quota 1.210,40 $/oz, in rialzo di circa trenta dollari.
Sul mercato obbligazionario, la Bce, come ampiamente previsto dal mercato, ha lasciato invariato al livello ritenuto “adeguato” dell’1% il tasso di riferimento principale, allo 0,25% il tasso sui depositi e all’1,75% quello marginale. Il numero uno della Bce, Jean- Claude Trichet, ha dichiarato che l’economia nella Zona Euro ha continuato il percorso di ripresa nei primi mesi del 2010 e proseguirà per il resto dell’anno, seppure con una crescita moderata e non uniforme, in un contesto macroeconomico contrassegnato da un’elevata incertezza. Il rischio “contagio” della crisi greca per il mondo del credito europeo è stato il principale argomento di discussione, occupando totalmente la prima parte, di un rapporto di Moody’s. L’agenzia di rating, esaminando i sistemi bancari dei Paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) e del Regno Unito, spiega che il mondo del credito di questi Paesi denota delle caratteristiche comuni come l’aumento della dipendenza dalle emissioni obbligazionarie per gli investitori istituzionali così come la crescita del portafoglio dei crediti immobiliari più veloce di quella dei depositi a partire dal 2007.
Il rendimento del titolo di stato greco a 10-anni, attestatosi nel finale al 12,45%, e lo spread con il BUND tedesco (965 punti) è salito vertiginosamente. Si è impennato, toccando nuovi livelli record (1.0 31 punti), anche il CDS sul debito sovrano di Atene a 5-anni, un movimento replicato anche da quello italiano (232 punti), spagnolo (275 punti) e portoghese (461 punti). Di contro in Germania il mercato obbligazionario ha mostrato una particolare tenuta, premiato da un movimento di flight-to-quality, con la curva dei rendimenti indietreggiata di 17-32 bps con i cali più ampi concentrati nel segmento 3-5 anni. Nell’arco della settimana il rendimento del 2-anni (0,5 3%), del 5 -anni (1,6 5%) e del 10-anni (2,80%) ha finito per segnare i minimi storici.
Durante l’ottava il mercato obbligazionario americano ha reagito all’ondata di rischio di credito legato ai titoli governativi)sollevatasi nei paesi periferici europei apprezzandosi con una certa consistenza. La curva dei tassi americani ha provato a spostarsi strutturalmente verso il basso, in un contesto in cui ad essere preferito in modo notevole dagli investitori è stato il T-bond americano, in un classico movimento di flight-to-quality accompagnato da un apprezzamento del dollaro che solitamente si registra nei momenti di massima crisi psicologica dei mercati internazionali. I titoli trentennali americani sono visti dalla comunità internazionale come un porto
sicuro in cui ri fugiarsi quando il price-action delle asset-classes rischiose si intensifica al ribasso. I tassi a 30-anni USA si sono spinti a 4,40%, con i tassi a 10-anni che hanno chiuso l’ottava a 3 ,57% e quelli a 2 -anni a 0,94%. Il bond-market americano, a fronte di movimenti disordinati dei titoli di stato europei, appaiono tutto sommato muoversi in aree grafiche consolidate e nel complesso abbastanza definite, pur fluttuando con molta volatilità.
Sul mercato dei cambi a caratterizzare la settimana oltre che essere il rally deciso del Dollar Index è stata la volatilità che ha abbracciato tutti i cross valutari da quelli più maturi a quelli più esotici, in un frangente in cui durante il week-end è giunta al mercato la notizia del piano finanziario di largo respiro volto nel complesso a consentire alla Euro- Zone di espandere la base monetaria per una cifra di 750 mld di euro sotto variegate forme.
Quanto all’euro-dollaro, il cross, partito da un massimo settimanale di 1,3362 in 5 sedute è riuscito a disegnare un minimo a 1,2522, per poi rimbalzare in modo accelerato fino a 1,2994, zona che potrebbe fungere da prima resistenza. Sul mercato si sono riproposti rumours di varia natura che ne hanno condizionato la fluttazione. A mandare in tensione l’euro era stato in primo luogo il price-action dell’arena finanziaria spagnola, con Zapatero che aveva risposto dichiarando di essere determinato a contrastare eventuali speculazioni sui titoli di stato della Spagna. A ruota il giorno successivo Weber, il governatore della Bundesbank, aveva dichiarato di intravedere il pericolo di un “grave effetto contagio” nella Euro-Zone, affermando anche che il rischio contagio non può giustificare la violazione dei “principi” dell’euro. La notizia di possibile espansione di base monetaria, se effettivamente materializzata, nello short-term dovrebbe scaricare i rischi di credito sulla carta moneta, avendo come controindicazione la parziale e temporanea perdita di credibilità della banca centrale che la effettua, rendendo rivedibile al ribasso il valore reale teorico implicito nella divisa europea.
L’euro ha vissuto una settimana molto volatile sia contro sterlina che contro yen, restando queste due divise espressione di paesi aventi deficit pubblici e debiti pubblici molto elevati.
L’euro-sterlina è nella prima parte dell’ottava disceso da 0,8710 circa fino a 0,8427, per poi risalire disegnando massimi settimanali a 0,8808. Il quadro tecnico è di difficile lettura sebbene la sterlina, il cui sovereign-rating per ora rimane immutato a AAA, risulti rischiosa. Sulla parte alta soltanto la rottura della media-mobile a 200-giorni a 0,8890 potrebbe innescare un sell-flow di pounds.
Quanto allo yen, la divisa nipponica è stata comprata in un contesto di caduta delle asset classes rischiose. L’euro-yen è caduto in profondità da un top di settimana a 125,48 fino a 110,52, per poi chiudere a 120,51, chiudendo parte del gap speculativo venutosi a creare durante l’ottava.