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Investimenti e mercati

REPORT SETTIMANALE SUI MERCATI FINANZIARI

La quiete dopo la tempesta! La settimana appena trascorsa si è caratterizzata ancora una volta per l’elevata volatilità e il freno all’emoraggia dei mercati che sembrava non volersi arrestare più. L’ondata di panico che si era impossessata dei mercati finanziari alla fine della scorsa settimana sembra essersi all’improvviso attenuata. Nel corso delle ultime sedute, le principali piazze borsistiche, guidate come sempre da Wall Street, sono riuscite a mettere a segno forti rialzi che hanno avuto il sapore di una liberazione da una situazione da incubo che rievocava da vicino i giorni della debacle di Lehman Brothers nel settembre 2008. In effetti appare cambiata significativamente anche la psicologia dei mercati: mentre la scorsa settimana si cercava di capire quale nuovo paese sarebbe finito sotto la scure delle agenzie di rating e l’euro appariva in caduta libera, ora sembrano essere tornati in primo piano i dati macroeconomici che testimoniano di un’economia in decisa ripresa. Infatti sembra che nulla sia successo venerdi quando l’agenzia di rating Fitch ha deciso di tagliare il rating della Spagna facendo passare il paese catalano da una tripla AAA ad AA+ mantenendo comunque un outlook stabile legato ad un profilo di credito che resta molto forte. Ritornando alla situazione dei mercati, parte del merito e’ da attribuirsi alle draconiane misure di austerity decise da vari governi europei che sembrano testimoniare di un’autentica volonta’ di risanare i deficit dei conti pubblici anche se resta da valutare l’impatto che questi interventi avranno sulla crescita. Intanto si cerca di capire se i segnali di miglioramento giunti il mese scorso dal mercato del lavoro troveranno conferma. Il dato principe dalla prossima ottava sara’ rappresentato proprio dal rapporto del dipartimento del Lavoro sul mercato occupazionale in maggio: ci si attende un nuovo saldo positivo di almeno 30.000 unità.

Passando ai numeri, nella settimana tutti i listini europei hanno chiuso in territorio positivo con Londra dove il Ftse 100 (+2,48%), seguito dall’ indice francese il Cac40 (+2,46%) ed infine Francoforte con il suo Dax30 (+2,01%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore healthcare (+4,08%) seguito dal settore automotive (+3,58%) ed infine dal settore alimentare (+3,18%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore bancario (-1,18% appesantito dalle voci circa una prossima tassa sull’intero comparto ed una nbuova regolamentazione a livello mondiale) seguito dal settore dei servizi finanziari (-0,58%).

Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Vivendi (+4,72% rialzo dovuto alla promozione intercorsa nella giornata di giovedi da parte di Ubs che ha portato il rating del titolo da neutral a buy confermando il target price a 20 euro), Sanofi Aventis (+4,71% grazie alla conclusione di un importante contratto concluso nella giornata di venerdi per creare una joint venture con una società nipponica) ed Air Liquide (+4,01%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Credit Agricole (-4,30% titolo in ribasso per il taglio di rating siglato da Deutsche Bank che lo ha portato da buy a neutral tagliando il tp da 15 a 13 euro), Deutsche Borse (-3,88%) ed infine Banco Santander (-2,38%, titolo spinto al ribasso per la complicata situazione di sfiducia che si è venuta a creare anche nei confronti del paese catalano).

Piazza Affari chiude la settimana con un frazionale ribasso del nostro indice, rispetto agli altri indici europei zavorrato nella giornata di lunedi da circa il 2% per lo stacco delle cedole di numerose società presenti sul listino principale. La settimana borsistica si è chiusa con un ribasso dello Ftse/Mib (-0,30%), terminando le contrattazioni a 19475 punti. Come dicevo nella scorsa settimana il quadro resta deteriorato: la situazione resta ancora molto fragile anche se la riconquista dei 20000 punti dovrebbe riportare il sereno sui mercati ed essere da trampolino per riconquistare prima area 20500 e poi 21000 dove potremmo parlare di inversione del trend e cominciare ad accumulare. Di contro, solo con il ritorno sotto i 19000 punti ci dovremmo preoccupare perché significherebbe che il problema legato al debito sovrano sia ancora vivo e vegeto. Fra i titoli maggiori  dobbiamo segnalare in denaro Prysmian (+5,61% rialzo dovuto alla performance positiva dell’intero comparto), Telecom Italia (+5,43% spinta al rialzo dalla notizia dell’ upgrade giunto da Credit Suisse) ed A2A (+5,07% titolo che era giunto a quotazione ridicola e grazie a quest’ottava è rimbalzato alla grande) mentre in lettera, invece, Finmeccanica (-3,47% un ribasso interamente dovuto ad un’ultima seduta condizionata da una notizia, probabilmente infondata, riguardante la cronaca giudiziaria. La secca smentita non ha cambiato la situazione di molto. Spero e sono convinto dell’estraneità della società alla creazione di fondi neri, visto che non le mancano di certo le occasioni, di rivolgere l’attenzione verso la delinquenza organizzata), Ubi Banca (-2,50% titolo spinto al ribasso per un downgrade da parte di Exane) ed infine Fondiaria Sai (-1,45% il titolo sembra non essere apprezzato dal mercato anche se secondo il mio parere potrebbe riserbare sorprese! Occhio!!).

Durante la settimana il mercato azionario americano pur mostrandosi vulnerabile nuovamente per via delle tensioni provocate dalle crisi fiscali dei paesi periferici europei che generano tensioni anche sul costo di funding sui mercati interbancari, ha provato a resistere, in attesa che la volatilità cali a livelli più normali. Tuttavia l’equity-market americano finora ha dato l’impressione di soffrire più la forza del dollaro che l’ascesa delle temperature di sovereign-risks nell’ambito dell’ eurozona relativamente ai paesi in difficoltà fiscale. Un dollaro troppo forte taglia le prospettive di crescita di utili e fatturati all’orizzonte, ridimensionandole, alimentando spinte deflattive. L’S&P500, che nella precedente ottava aveva violato al ribasso la media-mobile a 200-giorni, si è mosso disegnando un minimo intra-settimanale a 1.045 punti, per chiudere poi alla fine a 1.089 punti, in rialzo dello 0,16%. Il quadro grafico al momento sembra incanalatosi in un “bear-market” (mercato ribassista), fatto salvo un recupero in alto al di sopra della media-mobile a 200-giorni a 1.105 punti, che resta alla portata degli attuali livelli di fluttuazione. Sulla parte bassa invece il primo punto di alert è a 1.040 punti, violato il quale si guarderebbe alla soglia psicologica dei 1.000 punti. L’RSI a 14-giorni implicito nell’S&P500 si attesta ora al 40%. Escludendo la linfa vitale tratta dai valori azionari, dai livelli di funding delle società innanzitutto bancarie ed in secondo luogo industriali-commerciali, il quadro micro-macro per ora resta costruttivo, con le linee di trend impostate propositivamente riguardo ai diversi indicatori che lo compongono.

Intanto a tentare di sbarrare la strada ai ribassisti ed al pessimismo generale che il sovereign-risk globalmente ingenera, a fine settimana sarà il famigerato dato sulla disoccupazione. Ci si trova di fronte all’unico dato al momento avente la capacità di far rigirare il quadro tecnico da ribassista a rialzista, sebbene dopo aver perso 8,4 milioni di posti di lavoro, un recupero di circa mezzo milione di posti non implichi quella euforia da crescita che si avrebbe in un altro contesto diverso dall’attuale. Qualora i non-farm-payrolls dovessero superare la soglia dei 508mila, essi disegnerebbero il massimo dal lontano settembre 1983.
Questa settimana è stata finalmente all’ insegna del denaro anche per il Nikkei225 (+0,49%) trainato al rialzo (9795,72) dal deprezzamento della moneta unica e la conseguenza intonazione dei titoli legati al settore export.

Dopo quattro settimane consecutive nel segno del ribasso il mercato delle materie prime è riuscito a rintuzzare gli assalti speculativi montati sui timori sia di una frenata della crescita economica a livello mondiale causata dai tagli alla spesa pubblica approvati da diversi Paesi della Zona Euro che di nuove misure restrittive messe in atto dalla Cina nel tentativo di ridurre al massimo il rischio di scoppio di una bolla speculativa sugli asset finanziari e non. I principali protagonisti della settimana sono stati il petrolio e i suoi derivati, il gas naturale e i metalli preziosi. Nelle ultime posizioni si sono attestati i l succo d ’arancia, il mais, il grano, il cotone e lo zucchero.

Il primo contratto-future sul petrolio WTI in scadenza (luglio ’10), nell’immediata vigilia dell’apertura ufficiale della “driving season” negli Stati Uniti, si è mosso nell’intervallo di prezzo 67,15 $ – 75,72 $ per poi segnare una chiusura poco sotto la soglia dei 74 dollari, a 73,97 $ al barile, in rialzo di circa quattro dollari.
Le tensioni innescatesi tra le due Coree hanno finito per peggiorare lo scenario geo-politico e spingere gli acquisti d’oro, preferito in questo giro al biglietto verde come “bene rifugio”. Il primo contratto-future, quotato al Comex, ha chiuso gli scambi a quota 1.212,20 $/oz, in rialzo di trentasei dollari, azzerando quasi completamente le perdite accusate nella precedente ottava.

Il mercato obbligazionario europeo ha continuato a muoversi in maniera dicotomica. La crisi fiscale dei paesi periferici europei sta producendo conseguenze tali per cui i paesi relativamente virtuosi e con le posizioni finanziarie nette positive possano effettivamente finanziarsi sul mercato a costi molto più bassi mentre quelli fiscalmente squilibrati e con le posizioni finanziarie nette negative non riescano a finanziarsi se non a costi effettivamente più elevati. La crisi dei titoli di stato periferici sta impattando anche sui rispettivi sistemi bancari le cui sorti dipendono dall’escursione dei titoli governativi. La curva dei tassi in Germania nell’ultimo mese si è spostata verso il basso con il 2-anni a 0 ,52%, il 5-anni a 1,57%, il 10-anni a 2,68% e il 30- anni a 3,39%. Le nazioni aventi una posizione finanziaria netta positiva oltre la Germania sono anche il Belgio e l’Olanda, mentre quelle aventi posizioni negative sarebbero la Grecia, il Portogallo e la Spagna, seguiti poi da Italia e Francia ma non nelle stesse entità. I tassi a 2-anni della Grecia sono pari al 7,20%, quelli a 5-anni al 8,14%, quelli a 10-anni al 7 ,67% e i trentennali al 8,14%. I titoli di stato portoghesi biennali rendono il 2,71%, i quinquennali il 3,79%, i decennali il 4,71% e i trentennali il 5,40% mentre quelli spagnoli a 2-anni si sono attestati al 2,3 3%, quelli a 5-anni al 3,2 3%, il decennale al 4,21% e il trentennale al 5,2 1%. In Italia invece il 2-anni rende l’1,96%, il 5-anni il 2,97%, il 10-anni il 4,1 4% e il 30-anni il 5,03%. Il mercato resta in tensione, animato dal rischio sul debito sovrano e dalle preoccupazioni sul fronte della liquidità. Oltre all’allargamento degli spreads sui corporate bonds e sul CDS del debito sovrano a 5-anni si prende atto che i tassi sul mercato interbancario, dopo aver invertito la rotta, hanno iniziato a salire costantemente. Il tasso
Euribor a 3-mesi ha raggiunto quota 0,699%, il Libor a 3-mesi dollaro quota 0,53625%. Il crac greco ha fatto da detonatore. Fare cassa in fretta, tagliare la spesa e aumentare le entrate sono i punti essenziali della “ricetta” per la sopravvivenza dell’Europa anche se così facendo lo Stato sociale rischia di arrivare al capolinea.

Il mercato obbligazionario americano ad inizio settimana ha continuato a muoversi in rialzo, per poi essere investito dalle prese di profitto, dopo il suo deciso rally. Il quadro complessivo che si stava dipanando sui mercati finanziari era stato caratterizzato da flussi di capitali oggetto di un tragitto ben preciso. I fund-managers internazionali, al fine di ripararsi dalle crisi fiscali dei paesi periferici, oltre che perseguire i titoli di stato tedeschi, avevano proceduto ripetutamente a vendere euro e a comprare dollari, fatti poi confluire da un lato sul mercato dell’oro e dall’altro sul segmento 10-30 anni della yield-curve americana. Tuttavia nel frattempo il T -bond, che esprime l’andamento dei tassi d’interesse a 30-anni americani, dopo aver prodotto un rally fino a 126-05, ha ripiegato nel finale fino a 122-21, conservando la propria linea di trend rialzista. I tassi a 30-anni americani, che avevano toccato un minimo relativo a 3,96%, sono risaliti a 4,21%, trovandosi in basso rispetto alla media-mobile a 200-giorni passante a 4,44%. La sua rottura implica un trend di caduta dei tassi a 30-anni e di risalita del T-bond. Con l’acuto credit-crunch i tassi a 30-anni americani avevano toccato un minimo storico a 2,50%, per poi rimbalzare fino a 4,85%. Quanto ai treasuries a 10- anni, essi rendono 3,30%, avendo in settimana prodotto una discesa fino a 3,06%. Sulla parte alta la media-mobile a 200-giorni passa a 3,56%. Con i tassi biennali a 0,77%, la yield-curve ha nel complesso nelle ultime ottave prodotto un movimento di sgonfiamento (flattening), essendo in precedenza molto ripida rispetto ai suoi livelli tradizionali. Lo spread di tasso 2-10 anni, che ha un valore medio storico di +81 basis points e che aveva toccato il suo livello record a +291 basis points a febbraio 2010, in settimana si è ampliato a +253 bp. La curva americana stando alla sua inclinazione tradizionale resta ancora molto inclinata, dovendo essa avere una forma più piatta.

Il mercato dei cambi in settimana ha tergiversato non riuscendo ad esprimere nel complesso una direzionalità ben definita. Stando alle attuali stime ad esempio, sia la Spagna che la Grecia dovrebbero subire contrazioni di PIL in questo 2010 secondo il Fondo Monetario Internazionale. Le sorti dell’euro però più che dipendere dai trend macro prodotti sul campo sono legate alla capacità dell’euro di rivestire il suo parziale ruolo di divisa di riserva di valore, dopo il dollaro, nell’ambito dei portafogli internazionali. Attualmente il cambio appare alle prese con l’area statico-laterale di supporto, violata la quale si potrebbero andare ad immaginare nuovamente target ambiziosi sulla parte bassa. Per tutta la settimana l’euro-dollaro ha provato a sondare la fascia dei supporti statico-laterali che passano nella zona di 1,2300-1,2500. In realtà questi supporti sono stati nelle ultime sedute più volte scalfiti con una chiusura settimanale a 1,2273. Questo potrebbe creare le condizioni psicologiche per indurre la comunità valutaria a pensare che l’euro-dollaro con grande velocità possa scendere dagli attuali livelli.
In settimana la divisa europea ha perso terreno contro sterlina, terminando a 0,84893, ed avendo il supporto a 0,8401 e la resistenza a 0,8886, corrispondente alla media-mobile a 200-giorni.
Settimana cedente per l ’euro-yen, con chiusura a quota 111,77, poco sopra il minimo delle ultime 52 settimane di 108,84 aggiornato in data 25 maggio.