Pazza liquidità fa volare le borse! Questa settimana è stata all’insegna del denaro per le principali borse mondiali che continuano a macinare guadagni sull’onda della liquidità o meglio sulla sola prospettiva che altra massa monetaria si riversi sui listini.
NUOVI STIMOLI – Martedì sera, infatti, le minute del comitato della Fed, hanno evidenziato una maggioranza dei governatori federali a favore di una nuova campagna di stimoli monetari, battezzata Qe2 (seconda tornata di quantitative easing), attraverso l’immissione in circolazione di dollari contro acquisto di obbligazioni (titoli di stato, societari e con sottostanti mutui). La notizia, attesa dai primi di ottobre, ha fatto risalire gli indici di Wall Street, partiti in ribasso, e ha dato una forte spinta a quelli europei il giorno successivo. Le trimestrali di Intel e JP Morgan, la prima banca a comunicare i risultati, hanno fatto soltanto da contorno all’euforia. Anche perché, a ben guardare, non potevano entusiasmare più di tanto gli investitori, che infatti sono stati lontani dai due titoli. Le vendite e i margini di Intel hanno superato le stime, però ridimensionate a fine agosto; JP Morgan ha aumentato l’utile, ma a fronte di un calo del fatturato su base annua. La conferma del fervore di acquisti in vista di afflussi di capitale a sostenere i valori di borsa è testimoniata dai rialzi di molte attività finanziarie in concomitanza con le azioni: le materie prime, con oro e argento da record, le risorse agricole sugli scudi, e il petrolio sopra gli 83 dollari al barile; i titoli di Stato periferici, su cui sono tornate le richieste, che non temono più i debiti sovrani; le valute dei Paesi con un’economia legata alle materie prime, come il dollaro canadese e australiano.
A fare da contrappeso, un dollaro sott’acqua, svalutato dalla pressione dell’ondata di liquidità della Fed, che contrasta con la ritrosia della Bce a perpetrare una politica monetaria espansiva. Infine, venerdi il discorso di Ben Bernanke, presidente della Fed, che ha confermato pronti interventi straordinari per curare inflazione e disoccupazione, ha dato breve respiro ai listini; anche perché ha sottolineato la delicatezza della manovra nell’entità e nei tempi. Il rischio è che l’allentamento monetario, in mancanza di lavoro e consumi, non diventi produttivo, ma gonfi le attività finanziarie. La speranza è che la corsa dei mercati si trasferisca all’economia reale. I segnali macro per ora sono contrastanti, come i pochi arrivati nell’ultima ottava: in Europa, la produzione industriale è rimbalzata ad agosto; in Usa le richieste di sussidi di disoccupazione hanno ripreso ad aumentare, le vendite al dettaglio hanno tenuto, ma la fiducia dei consumatori ha indietreggiato.
Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso in territorio positivo la settimana; infatti troviamo Francoforte che con il suo Dax30 ha guadagnato il 3,19% mentre Parigi con il suo Cac40 (+1,71%) ed infine Londra con il suo Ftse100 (+0,81%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore automotive (+4,09%) seguito da quello tecnologico (+3,71%) ed infine dal settore industria (+3,34%) mentre in lettera non dobbiamo segnalare nessun settore. Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in SCHNEIDER ELECTRIC (+8,28%), SIEMENS AG-REG (+5,27%) E DEUTSCHE BOERSE (+5,25%) mentre in rosso dobbiamo segnalare Soc.Generale (-4,28%), Crh (-3,92%) ed infine Bnp Paribas (-2,11%).
Piazza Affari chiude la settimana con un rialzo del nostro indice, trascinata al rialzo dall’ottima intonazione dei titoli del lusso e dalla galassia Fiat. La settimana si è chiusa con un rialzo dello Ftse/Mib (+1,50%), terminando le contrattazioni a 21062 punti. Da un punto di vista tecnico il quadro resta costruttivo e fondamentale sarà la rottura dei 21150 che porterebbe il ns indice a testare le prossime resistenze a 21500 e poi a 21700 dove si creerebbe la base per lo sfondamento dei 22000 punti che decreterebbe l’inversione del trend nel medio termine. Di contro, solo un ritorno sotto i 21500 desterebbe preoccupazione e farebbe improntare il ns indice per l’apertura di un’ampia gamba ribassista con target 20200 e pericolosa soglia psicologica dei 20000 punti. Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Bulgari (+7,60% rialzo dovuto alla speculazione legata all’asset aurifero e finalmente gli operatori hanno deciso di investire sul titolo italiano ma si vocifera anche che importanti fondi siano entrati sul titolo), Pirelli (+6,59% spinta al rialzo per la promozione da parte di Kwb) e Stm (+5,31% rialzo dovuto all’ottima trimestrale di Intel) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Banco Popolare (-4,22% ribasso dovuto per le continue voci sul possibile aumento di capitale), Bpm (-2,10% ribasso dovuto al mancato acquisto di Banca Monte Parma che oramai gli operatori davano per scontato ma a mio avviso cosa buona per l’istituto meneghino) ed infine Autogrill (-1,47% ribasso dovuto alla perdita di appeal che grava oramai sul titolo da qualche settimana).
NEY YORK – Riconquistata di slancio quota 11.000 punti dopo una cavalcata durata diverse sedute, Wall Street sembra essere entrata in questi ultimi giorni in una fase piu’ attendista. Sulle sue prospettive di medio termine rimangono in effetti ancora molte nuvole di incertezza anche se il quadro appare migliore ora rispetto a quanto non sembrasse a cavallo di luglio e agosto. Gli ultimi dati macro, dalle vendite al dettaglio di settembre (+0,6%) alla performance dell’indice Empire in ottobre (salito a 15,73 punti da 4,14 in settembre) sembrano indicare che la congiuntura ha ripreso lievemente velocita’ anche se un’accelerata piu’ significativa e’ attesa solo per il prossimo anno. Il grande punto di interrogativo sulle intenzioni della Fed e’ invece stato sciolto dallo stesso Ben Bernanke: in un intervento a Boston, il presidente della banca centrale ha assicurato che la Fed e’ pronta ad agire con nuove misure di stimolo anche se l’entita’ verra’ determinata nelle prossime settimane sulla base dell’andamento dei dati congiunturale. I mercati speravano forse in un’indicazione piu’ precisa anche sul fronte numerico (appare molto probabile una prima tranche di acquisti di bond di lungo termine da 500 miliardi di dollari) ma su questo Bernanke non ha fornito indizi anche perche’ si tratta di una materia da trattare in sede di Federal Open Market Committee a inizio novembre. Resta la certezza di una Fed determinata a continuare a sostenere il settore finanziario e con esso l’economia nel suo insieme. Notizie positive infine sono giunte nelle ultime sedute dal fronte della corporate America.
LE TRIMESTRALI – Il primissimo bilancio dei conti per il terzo trimestre sembra indicare che i risultati hanno superato le attese degli analisti ma il grosso delle trimestrali e’ in programma per la prossima settimana. Da tenere in particolare sotto osservazione i conti di Apple e Citigroup lunedi’, di Bank of America, New York Mellon, Goldman Sachs, Coca Cola, Yahoo, New York Times e J&J martedi’, di Delta, Ebay, Morgan Stanley, Wells Fargo mercoledi’, di Amazon, American Express, At&t, Caterpillar e Ups giovedi’ e Honeywell e Verizon venerdi’. Molto fitta anche l’agenda sul fronte macro.
IL NIKKEI – Questa settimana è stata all’ insegna della lettera anche per il Nikkei225 (-0,94%) trainato al ribasso (9498,23) dallo super yen che ogni giorno ha aggiornato il massimo storico nei confronti del dollaro e sembra non conoscere pausa al rialzo.
LE MATERIE PRIME- Il principale indice delle materie prime ha nel corso dell’ottava aggiornato più volte l’area di massimo delle ultime 52 settimane. Da inizio anno l’investimento nelle materie prime registra un guadagno poco inferiore ai 4,5 punti percentuali. I principali protagonisti della settimana sono stati il mais (+6,58%), l’argento (+5,12%), la soia (+4,41%), lo zucchero (+2,81%) e i bovini vivi (+2,72%). Nelle ultime posizioni si sono attestati la benzina, il gasolio per riscaldamento domestico, il gas naturale, il succo d’arancia e i suini da macello, quest’ultimi fanalino di coda in virtù di un calo del 7,55%. Il contratto future sul petrolio WTI con scadenza novembre ’10 si è mosso nell’intervallo di prezzo 80,75 $ – 84,12 $ per poi attestarsi nel finale a quota 81,25 dollari al barile, in calo di 1,41 $. Da inizio 2010 il prezzo del petrolio segna un rialzo dell’1,6%. Settimana rialzista per i metalli preziosi. Più volte nel corso della settimana il mercato dell’oro ha aggiornato il suo record storico, l’ultimo in ordine cronologico a 1.383,90 $/oz, per un +24% circa da inizio 2010. Il metallo pregiato continua a essere visto come una forma alternativa d’investimento e come un bene rifugio contro un’eventuale guerra delle valute. Sulla scia dell’oro il mercato dell’argento, attestatosi nel finale a 24,29 $/oz, per un rialzo quest’anno superiore al 42%, scambia sui massimi degli ultimi trent’anni
LE OBBLIGAZIONI- Il mercato obbligazionario europeo non ha potuto fare a meno di confrontarsi anche questa settimana con uno scenario macroeconomico in ripresa seppur in misura moderata, con un livello di tassi d’interesse lasciato invariato dalla Bce ai minimi storici, con le attese di inflazione al momento stabili avendo l’Europa né rischi inflazionistici né deflazionistici, con un mercato del lavoro ancora in panne. Nell’area euro il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 10,1% nel mese di agosto, in aumento di 0,4 punti su agosto 2009. In Italia si è passati dal 6,2% del 2007, al 7,8% del 2009 e all’8,2% di agosto 2010 con una forbice più stretta resa possibile anche dalla legislazione sugli ammortizzatori sociali. In chiave più pragmatica, mentre la Bce sta togliendo gradualmente parte della liquidità erogata per fronteggiare il rischio di credito sistemico, i Paesi dell’area euro potrebbero avere comunque bisogno di sostegno per fronteggiare il sovereign-risk raccogliendo capitali a costi sempre più elevati. E’ il caso questa settimana dell’Italia dove l’asta dei BOT a 12-mesi di 6,5 Bln € ha avuto un rendimento medio di 1,441%, leggermente superiore a quello del mese precedente (1,428%).
In Olanda sono stati collocati titoli con scadenza 2042 per un ammontare pari a 1,82 Bln € al tasso medio del 2,91%. La curva dei rendimenti tedeschi è salita di 3-13 bps. Il 2 -anni si è attestato a 0,81%, il 5-anni a 1,4 8%, il 10-anni a 2,3 7% e il 30-annni a 2,99%. Il contratto-future sul decennale tedesco si è mosso nell’intervallo di prezzo 130,34 – 132,36 per poi segnare una chiusura in area 130,72 punti, in flessione di oltre una figura, dopo aver violato verso il basso la media mobile a 50-giorni (131,7 2). Il primo supporto è la media mobile a 100-giorni a 130,29 punti. Il rinnovato interesse per il bond market periferico ha comportato una riduzione sia dello spread di rendimento dei rispettivi decennali contro il pari durata tedesco che quello sul debito sovrano a medio-lungo termine.
Il mercato dei titoli di stato americani ha vissuto l’ottava all’insegna della vulnerabilità. I treasuries hanno finito per arretrare, adeguandosi al tentativo inflazionistico insito nel “debasing” (spostamento della base di valore) del dollaro innescato dalla Federal Reserve che sembrerebbe disposta a molto pur di contrastare le tendenze “disinflazionistiche” in corso. La FED darebbe la sensazione di voler agire alla radice, svalutando il dollaro, valuta di denominazione delle materie prime nel mondo e unità di misura di valore in senso allargato sul mercato finanziario. Lasciando da parte l’idea che la svalutazione della divisa americana possa creare un’inflazione finanziaria ma non reale nelle nazioni non-USA, negli Stati Uniti invece l’effetto sarebbe duplice dal momento che un dollaro più debole da un lato consentirebbe di importare inflazione in modo classico e dall’altro avrebbe una duplice cassa di risonanza inflazionistica facendo lievitare i prezzi delle materie prime alla luce dell’ascesa del peso dei popolosi emerging-markets .
L’attesa di “QE2” (seconda ondata di espansione di base monetaria) che caratterizza il mercato finanziario attuale, implica che la FED possa comprare in grandi quantità (al momento imprecisate) ed in un tempo imprecisato di treasuries emessi dal Tesoro, monetizzando parte del debito pubblico ed iniettando preziosa liquidità nel sistema americano da utilizzare in diversi modi. L’attesa di “QE2” ha spinto il mercato ad anticipare la FED, con gli addetti ai lavori che hanno provato a comprare prima ciò che la FED potrebbe decidere di comprare dopo. L’azione della FED è volta ad osteggiare il “dirty-floating” (fluttuazione sporca) del dollaro-yuan promosso dalla People’s Bank of China (PBOC) che appare in grossa difficoltà nel tenere alto il dollaro-yuan. Da quando l’idea del “QE2” è penetrata nel mercato la PBOC fa più fatica a reggere il peso dei dollari che piovono sul mercato cinese in modo sempre più incessante. I tassi a 2-anni USA hanno chiuso a 0,3 5%, mentre quelli a 10-30 anni a 2,53%-3,96%. Considerando il grafico dei tassi trentennali USA, quelli legati al T-bond, essi hanno violato al rialzo una trendline discendente, la cui rottura è stata confermata nelle ultime 24 ore, attestandosi ora a 3,9 6%, al di sopra anche della media-mobile a 100-giorni. Sui treasuries a 10-anni oggi a 2,53% la trendline discendente sui tassi è ancora intatta ed il primo punto di alert si colloca a 2,58%, mentre i minimi disegnati sul basso sono pari a 2,33%. Lo spread 30-10 anni USA ha disegnato un nuovo massimo storico dal 1977 a +143 bp, sebbene essendo distante dai vecchi massimi non di molto (30 bp circa). Lo spread sui massimi è il frutto in parte del fatto che la FED con il “QE2” possa comprare T -notes fino ai 10-anni soltanto ed in parte della convinzione che se il “QE2” della FED dovesse avere successo instillando inflazione, la parte più lunga della curva possa scontarne una più consistente inflazione in futuro. Lo spread di tasso 2-10 anni invece si è allargato, essendo ora a +218 bp e non riuscendo a scivolare al di sotto dei +200 bp.
IL FOREX- Il mercato dei cambi ha confermato il suo sentiment anti-dollarista, nell’ambito di quello che avrebbe le sembianze di un fenomeno di “debasing” (spostamento della base di valore) del dollaro. Il price-action dell’FX-market dimostra il peso della Federal Reserve nel condizionare il mercato dei cambi. La banca centrale americana sembra essere scesa in campo di recente in modo molto determinato, decisa a vincere la partita valutaria al fine di perseguire i suoi obiettivi inflazionistici contro quello che appare il suo avversario principale, la People’s Bank of China. Per combattere la “disinflazione” emersa nei recenti trend micro-macro interni la FED starebbe usando la leva che appare quella più efficace, cioè quella valutaria, per via del fatto anche che tutte le materie prime nel mondo sono quotate e scambiate in dollari.
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