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Investimenti e mercati

Report settimanale sui mercati finanziari

E andare su su su ma il Medio Oriente mi fa tenere i piedi giù giù!


MERCATI E FINANZA.
La settimana che ci lasciamo alla spalle è stata caratterizzata da un’ottava positiva sui principali mercati finanziari internazionali che hanno aggiornato i massimi degli ultimi 29 mesi, nonostante l’annuncio del deficit record degli Stati Uniti, proseguendo il loro trend rialzista grazie soprattutto alla stagione delle trimestrali nel Vecchio Continente che al momento si sta rivelando migliore delle attese degli analisti in termini di utile. La crisi del debito sovrano nella Zona Euro e l’allarme lanciato dalla Banca Mondiale circa la crescita a dir poco sostenuta dei prezzi dei generi alimentari (+15% nel periodo compreso tra ottobre e gennaio scorsi) sono fonti di preoccupazione degne di un attento e costante monitoraggio per i governi e le banche centrali.

Un’inflazione che al momento è “commodity-driven” ma non è escluso che presto possa avere anche una matrice salariale considerando l’accordo raggiunto dal colosso automobilistico Volkswagen con il sindacato dei metalmeccanici. Il mercato ha cominciato a porsi delle domande sul mix crescita-inflazione considerando anche le tensioni geopolitiche in Medio Oriente che non fanno altro che trasmettere incertezze ai listini. Mentre a Wall Street infuria il dibattito tra bullish (ottimisti, rialzisti, fautori del Toro) e bearish (pessimisti, ribassisti, sostenitori dell’Orso), l’S&P ha segnato in settimana un altro rialzo dell’1%: segno che di tanta discussione agli operatori e agli investitori interessa assai poco; oppure che la schiera degli ottimisti sovrasta largamente la seconda. Dal marzo 2009, l’S&P è esattamente raddoppiato e all’indice Stoxx mancano pochi punti per riuscirci.

LA STATISTICA. A sentire il coro dei bullish avremo almeno altri due anni di borse in crescita. Ce lo spiega uno che, come Thomas Lee strategist di JP Morgan, fonda i ragionamenti sulla statistica: se l’ascesa di Wall Street dovesse durare tre anni, spiega, la storia dice che la tendenza durerà ancora per un altro anno. Visto che siamo quasi al 24° mese di crescita, il fato ci destinerebbe ancora altrettanto tempo per goderci le borse. Ci sono parecchi elementi per far credere che il momento magico continui. I risparmiatori, che fino a qualche mese fa s’erano rintanati nei fondi e nei titoli a reddito fisso, si stanno riversando adesso sulle azioni. L’economia è in netta ripresa e migliorano anche le stime di crescita degli utili societari. Infine, i tassi restano bassi e la Fed non ha la minima intenzione di alzarli, con il rischio di rovinare il meccanismo di Wall Street che funziona bene e che fa credere alla gente d’essere più ricca. Da ultimo, non accenna a calare l’ottimismo degli economisti e degli investitori, salito ai massimi storici.

Di solito si prende questa indicazione come un segnale contrario. Lo si dice da due, tre mesi che quando c’è troppa esuberanza è anche il momento di una correzione. Ma questa volta le cose sembrano andare diversamente. Convincono le preoccupazioni di chi teme un dilagare delle rivolte nei Paesi arabi; di chi avverte (come ha fatto il Financial Times) i rischi creati dalla crescente povertà per la stabilità dei vari regimi politici nel Nord Africa, nel Medio Oriente e persino in qualche paese europeo.

Qualche maligno trova che l’argomento più forte a supporto delle argomentazioni ribassiste sia invece il recentissimo passaggio di Nouriel Roubini tra la schiera dei moderatamente ottimisti. Spiega l’economista, che «tatticamente, per i prossimi mesi, le azioni potrebbero salire, visto che gli utili aziendali restano ancora forti». L’affermazione sembra contraddire tutte le precedenti posizioni di Roubini, per il quale la ripresa delle borse non era altro che un effimero rimbalzo all’interno di un secolare mercato Orso e che pertanto l’S&P era destinato a scendere di un ulteriore 30% dai minimi del 9 marzo 2009.

L’economista ha il grande merito d’aver compreso in anticipo l’ultima grande crisi, ma questa sua preveggenza per gli eventi negativi gli ha anche impedito di riconoscere che dal 2010 stava cambiando il ciclo economico. Ecco perché il suo repentino mutamento di pensiero è stato interpretato da taluni come il più significativo segnale contrario. A riguardo della «forte crescita degli utili» riconosciuta da Roubini, si potrebbe semmai osservare che il continuo allargamento della forbice tra prezzi «pagati» e prezzi «ricevuti», evidente in tutti i sondaggi sull’attività manifatturiera negli Usa, è indice di una preoccupante contrazione dei margini reddituali delle aziende nei prossimi mesi.

BORSE EUROPEE. Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio positivo la settimana; infatti troviamo Parigi che con il suo Cac40 ha guadagnato (+1,36%) trascinata al rialzo dalle eccellenti trimestrali di Societe Generale e Danone mentre Francoforte con il Dax30 (+0,75%) ed infine Londra con il suo Ftse100 (+0,33%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore bancario (+4,75% trascinato al rialzo dalle ottimi trimestrali di Barclays e Societe Generale) seguito dal settore chimico (+3,05%) ed infine quello healthcare (+1,91%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore automotive (-4,51% spinto al ribasso dal pessimo dato sulle immatricolazione e dalla trimestrale inferiore alle attese di Daimler) seguito da quello dei servizi finanziari (-2,14%) ed infine dai media (-0,44%). Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Societe Generale (+7,29% spinta al rialzo dall’eccellente trimestrale), Basf (+6,03%) e Credit Agricole (+5,58%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Daimler (-6,87%), Deutsche Boerse (-6,65%) ed infine Nokia (-4,29%).

ITALIA. Piazza Affari chiude la settimana con un deciso rialzo del nostro indice, sospinto in nero dai titoli del comparto bancario trascinati al rialzo grazie alle eccellenti trimestrali di due colossi europei del calibro di Barclays e Societe Generale. La settimana si è chiusa con un rialzo dello Ftse/Mib (+1,60%), terminando le contrattazioni a 23059 punti. Da un punto di vista tecnico, il quadro di breve periodo resta costruttivo e fondamentale sarà la rottura dei 23600 punti per chiudere il gap lasciato aperto ad aprile 2010 e puntare la resistenza dinamica dei 24000 punti. Di contro, solo il ritorno sotto i 22300, supporto che ha dimostrato tutto il suo valore decreterebbe un inversione del trend al rialzo in atto dall’inizio dell’anno e riporterebbe l’indice a testare il successivo supporto a 21700 punti che aprirebbe la strada per un’ampia e forte gamba ribassista. Per il momento predico attenzione in quanto il nostro indice è in forte ipercomprato ed una pausa potrebbe essere dietro l’angolo, visto anche la consistente riduzione dei volumi.

Fra i titoli maggiori  dobbiamo segnalare in denaro Stm (+7,75% spinta al rialzo dalla promozione di Nomura e per la riconquista della soglia psicologica dei 9 euro), Mps (+6,58%) ed Unicredit (+6,44%) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Mediaset (-4,13% ribasso dovuto principalmente per il rinvio a giudizio del presidente del consiglio Silvio Berlusconi per il caso Ruby), Diasorin (-3,59% per la revisione al ribasso del 3-4% dell’ Eps da parte di Jefferies che riduce il tp a 37,5 euro  ma conferma rating hold) ed infine Parmalat (-3% ribasso dovuto principalmente alla norma approvata nel decreto Milleproroghe circa il limite del 50% del payout agli azionisti).

AMERICA. L’equity-market americano durante la settimana ha provato a muoversi in scia al suo ormai consueto price-action di natura rialzista, che pervade i grafici degli indici principali ormai da tempo e quasi per così dire all’unisono. Il trend di Wall Street di tipo bullish ha consentito all’S&P500 di andare a chiudere a 1.341 punti, intravedendo la prima soglia-target dei 1.361 punti, in un contesto in cui il mercato azionario ha dato la sensazione di volersi andare a mettere a ruota a quello che appare un ciclo-finanziario prima ancora che un ciclo-economico-reale. Se non fosse per la perdurante sterilità o la mite convinzione ascensionale del labor-market USA i due cicli, quello finanziario e quello macro-reale, apparirebbero meglio sintonizzati. Non che manchi ad essi una inter-correlazione, ma sarebbe lecito attendersi un connubio più stretto tra loro, che solo un unemployment-rate più basso potrebbe conferire, per permettere un totale scioglimento della risk-adversion ed un balzo della consumer-confidence strutturale.

Mancando un’espansione più tonica del labor-market il mercato immobiliare non riesce a ripartire e ciò rende il cruscotto macro non espansivo in modo diffusivo, secondo quanto anche le Minute della FED hanno riportato in settimana. Si è avuto che alla grossa accelerazione delle capitalizzazioni di borsa di colossi del parco equity tecnologico americano non è corrisposto un altrettanto veemente rialzo degli occupati in queste stesse società che riflettono una produttività spettacolare agli attuali livelli di quotazione. Senza andare lontani, considerando la Apple, il leader tecnologico su scala globale, la dinamica occupazionale ravvisa dal 2007 ad oggi un incremento di appena 25mila occupati a fronte di un incremento di market-cap da 185 miliardi di dollari, per arrivare a capitalizzare a Wall Street addirittura ben oltre i 335 Bln $. Si tratta forse dell’esempio più eclatante.

Intanto la FED ha dichiarato necessario condurre nuovi stress-tests presso le 19 banche più grandi degli USA, per capire se esse possono finanziariamente resistere in caso di uno scenario avente un tasso di disoccupazione in ascesa attorno all’11%. Gli stress-tests saranno condotti dal Large Institution Supervision Coordinating Committee, (LISCC). Gli stress-tests nel 2009 presso i 19 attori bancari più grandi si conclusero con la necessità da parte di 10 banche di raccogliere 74,6 Bln $ di nuovi capitali. La LISCC completerà gli stress-tests a marzo. Secondo alcuni addetti ai lavori gli stress-tests saranno condotti anche con lo scopo di capire se le banche americane siano di fatto in grado di ritornare a distribuire dividendi.

GIAPPONE. Questa settimana è stata all’ insegna del denaro per il Nikkei225 (+1,23%) trainato al rialzo (10857,53) per il deprezzamento della moneta unica e per la brillantezza dei maggiori titoli legati all’export che hanno mostrato ottimi dati trimestrali.

MATERIE PRIME. Settimana nuovamente rialzista per il mercato delle materie prime. I principali protagonisti della settimana sono stati il succo d’arancia (+7,84%), il caffè (+7,82%), l’argento (+7,67%), i suini da macello (+6,80%) e il cacao (+5,10%). In territorio negativo il gas naturale, lo zucchero, il rame, la soia e il grano. Il cotone, finora il best-performer del 2011, segna un rialzo del 36% per effetto di una carenza della materia prima sui mercati e di una forte domanda da parte delle aziende.
Il contratto -future sul petrolio WTI con scadenza marzo ’11 si è mosso nell’intervallo di prezzo 83,85 $ (livello minimo degli ultimi ventotto mesi) – 87,88 $ per poi chiudere a 86,20 $ al barile, in rialzo di oltre mezzo dollaro.

ORO. Il mercato dell’oro continua a essere supportato dalla situazione del mercato del debito sovrano nella Zona Euro che desta ancora preoccupazione e dalle pressioni inflazionistiche. Il primo contratto -future sull’oro al Comex ha chiuso gli scambi a quota 1.388,20 $/oz, in rialzo di ventotto dollari, in prossimità dei massimi della settimana e con la MAV a 50-giorni passante a 1.371,53 $/oz a fare da primo supporto. Da inizio 2011 le quotazioni dell’oro registrano una flessione dell’1,7%, quelle dell’argento un guadagno del 7,7%.

OBBLIGAZIONARIO. Per quanto riguarda il mercato obbligazionario, nel corso della settimana sono proseguiti i lavori dei ministri finanziari dell’Unione europea, impegnati nella messa a punto di una risposta complessiva alla crisi dei debiti sovrani. Sono stati fatti ottimi progressi sul piano che dovrà essere presentato al Consiglio europeo del 24 marzo. Se la ripresa dell’economia assume sempre più vigore e si autoalimenta, con una crescita nel secondo trimestre superiore alle attese e con prospettive incoraggianti, la situazione del mercato del debito sovrano resta preoccupante.

Ciononostante le aste in agenda nel corso dell’ultima ottava nei paesi PIGS sono state ben accolte dagli investitori con tassi in calo. In Italia c’è stata una domanda boom di BTP a 5-anni e a 30-anni ma con rendimenti in lieve rialzo. I dati congiunturali in possesso della BCE confermano in generale una dinamica di fondo positiva dell’attività economica nell’area dell’euro.

La ripresa economica sta proseguendo, con segnali di crescita del Pil anche agli inizi del 2011, e la disoccupazione si avvia a stabilizzarsi nei mesi a venire. Ma, la prudenza è d’obbligo, con economie “periferiche” come Grecia, Portogallo e Irlanda alle prese con misure “draconiane” di riduzione del deficit che avranno un impatto duro sulla crescita: è proprio per questo che la Bce, nonostante la lenta normalizzazione dei mercati monetari, vuole altre conferme prima di cambiare l’attuale “accomodante” posizione monetaria.

Per non parlare delle preoccupazioni della Bce che ha aumentato il livello di allerta per l’inflazione nei diciassette Paesi dell’euro. Nel frattempo gli spread di tasso tra la periferia europea e la Germania si sono ulteriormente allargati. In virtù dei diversi ritmi di crescita e livelli d’indebitamento si è creata con il passare del tempo nella mente degli investitori una netta distinzione tra economie “mature” e “periferiche”.

In Germania la curva dei rendimenti nell’ultima settimana ha registrato un movimento di shifting verso il basso di 1-6 bps con il 2-anni a 1,40%, il 5-anni a 2,42%, il 10-anni a 3,25% e il 30-anni a 3,70%. Il contratto -future sul decennale tedesco che ha chiuso gli scambi a quota 123,09 punti, in rialzo di 31 centesimi, ha finito per attestarsi poco sotto la parte alta di un canale discendente di breve periodo, violata la quale ci sarebbe la MAV a 50-giorni passante a 124,18 punti. Il rendimento del decennale continua ad avere l’area del 3,40% come prima resistenza e la media mobile a 50-giorni (3,10%) come primo supporto.

Il mercato dei titoli di stato americani ha trascorso l’ottava provando a recuperare il terreno perduto anche grazie ai disordini in Medio- Oriente, avendo prevalso un certo movimento di “flight-to-quality”. In effetti i tassi a 2-anni hanno recuperato passando da 0,85% a 0,75%, quelli a 10-anni da 3,64% a 3,58% e quelli a 30-anni da 4,72% a 4,6 8%.I tassi hanno dunque indietreggiato senza però scalfire livelli tecnici di rilievo che possano far pensare ad un’inversione del trend ascendente.

Sul segmento nevralgico dei 10-anni di fatto la media-mobile a 20-giorni passa a 3,5 4% e quella a 50-giorni risulta in risalita a 3,44%. In alto si può affermare che la zona compresa tra 3,77%, il recente massimo relativo, e la soglia del 4%, costituisce una dura area di resistenza quantomeno sotto il profilo concettuale. Un superamento del 4% sul 10-anni USA potrebbe associarsi secondo il parere classico di un bond-strategist qualunque ad uno strutturale stato rigoglioso del ciclo americano di solito sulla base di valutazioni normalmente espansive in modo diffuso sotto il profilo ciclico a vasto raggio.

In tal senso i tassi d’interesse di money-markets risultano depressi, constatazione che più che essere soggettiva, in un certo qual modo acquista fisionomia finanziaria definita semplicemente guardando i TIPs a 5-anni USA tutt’ora in area negativa. Ed anche tralasciando i TIPS, bensì prendendo il trend di medio lungo termine del commodity-market non-energy rispetto a quello del bond-market emergerebbe una certa fatica del bond-market a preservare i valori reali dei capitali.

Durante l’ottava l’FX -market, piuttosto che produrre movimenti degni di nota si è limitato ad offrire un price-action conservativo e poco volatile, prevalendo l’attendismo all’azione. Ad esercitare una certa influenza psicologica che ha finito col favorire suddetta dinamica è stata l’attesa per il G-20 che puntualmente si è consumato a Parigi, senza particolari conseguenze almeno sotto il profilo dell’accordo unanime.

VALUTE. L’euro-dollaro dal canto suo fluttua a 1,3670, anch’esso particolarmente poco dinamico nel complesso. In alto la prima zona di alert è a 1,3744- 1,3861, per poi andare a guardare la fascia larga di 1,4000-1,4282. In basso il primo punto di alert che potrebbe cambiare le considerazioni grafiche è a 1,3429, sebbene si tratti di un livello di poco conto in ottica di medio-lungo termine.

L’attuale mercato dei cambi appare artefatto e non congeniale, soprattutto per via di quei Real-Effective-Exchange-Rates che non subiscono un aggiustamento al rialzo per quei paesi che hanno tassi di crescita veloci di FX-reserves/GDP. Di estremamente disallineato sia per via della parità dei poteri d’acquisto e dei differenziali di labor-costs che per via della parità dei tassi d’interesse vi è il valore dello yuan, troppo svalutato per essere fisiologico.

La natura artefatta del valore di questa valuta, che rappresenta la divisa rappresentativa del paese leading della crescita mondiale in questa fase storica, genera scompensi di natura inflazionistica di cui devono prendere atto non soltanto le autorità statunitensi, che non attendono altro che rivedere rigonfiarsi i propri valori di residential-housing, ma anche altre autorità nazionali in giro per il mondo, pena la possibilità di squilibri sociali, secondo quanto avvenuto nei paesi africani e medio-orientali, di cui l’Egitto ne è l’emblema. I paesi periferici della Euro -Zone da Seoul ad oggi hanno incamerato una certa dose inflazionistica, riuscendo però in molti casi i GDP a risalire la china.

Il Dollar-Index in fase discendente resta una valvola con cui mitigare eventuali eccessive spinte inflazionistiche indesiderate. Che l’inflazione costituisca in tal senso un problema lo è visto in settimana al cospetto dell’Inflation Report della Bank of England, trapelando suddetta constatazione anche nelle parole di Bini-Smaghi nella Euro-Zone.

Con il dollaro -yuan fermo, fatti salvi i tentativi da parte della PBOC di voler manipolare addirittura i pesi all’interno del CPI-giallo allo scopo di mitigarlo numericamente per rendere maggiore credibilità a sé stessa davanti agli occhi del mercato nel controllare le aspettative inflazionistiche, si potrebbe aprire una parentesi di carry -trading globale con la divisa americana utilizzabile così come in periodi pre-crisi si utilizzava lo yen. Il cruscotto macroeconomico ed i flussi globali sono tali da pensare che possa nascere l’esigenza di svalutare il dollaro per scudare le pressioni inflazionistiche nascenti dalla food -inflation e dal rally del CRBIndex- non-energy, denominati in dollari.

Per suggerimenti e chiarimenti potete scrivere a  enzopolimeno@alice.it