E la medicina degli aiuti finanziari funziona sempre! La settimana che ci lasciamo alla spalle è stata caratterizzata da un’ottava positiva sui mercati finanziari internazionali complice da una parte la decisione dell’Ecofin di approvare in via definitiva il piano di aiuti finanziari per 85 miliardi di euro al governo di Dublino e dall’altro l’accordo raggiunto a Washington tra Casa Bianca e opposizione repubblicana per un’estensione dei tagli alle tasse varati nel 2001 da George W. Bush.
SITUAZIONE MACROECONOMICA: Sebbene in prospettiva la misura sia destinata ad aggravare il debito pubblico considerato che costerà circa 900 miliardi di dollari in dieci anni, nell’immediato i mercati hanno reagito positivamente sul calcolo che parte di questa liquidità liberata dagli sgravi possa trovare la strada dei titoli azionari. Le piazze finanziarie sembrano inoltre aver assorbito bene la manovra di "Quantitative easing 2" da 600 miliardi annunciata il 3 novembre scorso dalla Fed. I temuti effetti in termini di incidenza sui rapporti valutari fino ad adesso non ci sono stati. Anzi, contro ogni previsione, il dollaro si è rafforzato da allora nei confronti dell’euro e la manovra non ha provocato nemmeno un abbassamento dei rendimenti dei titoli di stato americano a lungo periodo, che anzi hanno fatto registrare sensibili incrementi. Notizie positive intanto giungono dal fronte dei consumi con i primi rapporti sull’andamento delle vendite nel Black Friday e nei giorni immediatamente successivi. Un po di fiducia sembra essere ritornato sui mercati finanziari sperando che si possa assistere almeno quest’anno all’agognato rally di fine anno… staremo a vedere!!!
MERCATI AZIONARI EUROPEI: Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio positivo la settimana; infatti troviamo Parigi che con il suo Cac40 ha guadagnato l’2,85% mentre Londra (+1,18%) ed infine Francoforte con il suo Dax30 (+0,84%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore assicurativo (+4,34%) seguito da quello delle costruzioni e materiali (+3,16%) ed infine quello oil&gas (+3,09%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore retail (-1,56%) seguito da quello dei viaggi e tempo libero (-0,12%) ed infine da quello telecom (-0,10%). Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Alstom (+12,40% rialzo dovuto alla promozione di Oddo Securities che ha portato il suo target a buy e poi per la revisione al rialzo del suo target price), Axa (+8,13% per l’ottima intonazione dell’intero comparto) e Repsol (+6,10%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Carrefour (-4,06% ribasso dovuto alla cattiva intonazione del comparto), Bayer (-1,84%) ed infine Deutsche telecom (-0,10%).
BORSA ITALIANA: Piazza Affari chiude la settimana con un deciso rialzo del nostro indice, sospinto dalla ripartenza del comparto bancario e per l’ottima intonazione del settore costruzione e della galassia Fiat. La settimana si è chiusa con un rialzo dello Ftse/Mib (+1,82%), terminando le contrattazioni a 20487 punti. Da un punto di vista tecnico il quadro si è un po’ rafforzato e fondamentale sarà la riconquista dei 20700 punti anche se il vero punto di svolta lo avremo con la riconquista dei 20800 punti prima e poi con l’approdo dei 21150 che determinerebbe lo slancio verso i 21500 e poi verso i 21700 che decreterebbe l’inversione di trend nel breve termine; di contro solo il ritorno sotto i 20300 tornerebbe a farci preoccupare e darebbe luogo all’apertura di una nuova gamba ribassista. Continuo a navigare vista senza farmi influenzare dagli ultimi segnali positivi del nostro indice. Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Fondiaria Sai (+11,53% rialzo dovuto ad una quotazione troppo bassa del titolo e ad una sorta di short squeeze), Italcementi (+9,64% spinta al rialzo dall’ottima intonazione del comparto a livello europeo) e A2A (+7,85% rialzo dovuto alle voci di un rumor circa la possibilità di acquisire Edison attraverso Edf) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Cir (-6,23%), Finmeccanica (-2,85%) ed infine Telecom (-2,47% ribasso dovuto alle difficoltà che sembra interessare il comparto a livello europeo).
MERCATI AZIONARI USA: L’S&P500 durante l’ottava, pur con molto affanno e con apparente riluttanza, dopo una fluttuazione laterale, ha provato a scardinare sull’upside la zona dei 1.225-1.230 punti, dove si annida anche il punto di Fibonacci (61,8%) relativo alla fluttuazione dall’inizio del credit-crunch ad oggi. La violazione delle resistenze non è sembrata accompagnata da stop-loss, con l’S&P500 che si è limitato a produrre un’avanzata limitata, senza fornire i segnali tipici dello “short-squeeze”. Tuttavia il superamento di quest’area tecnica implicherebbe un quadro grafico mutato sulla parte alta, con un’apertura potenziale fino a 1.361 punti, livello prima del quale si potrebbe andare a valutare la zona dei 1.300-1.313 punti. Lungi dal volere immaginare che i pilastri micro-macro USA godano tutti di ottima salute e non potendo dimenticare le corpose masse debitorie accantonate e latenti nel sistema statunitense, la caduta della volatilità appare il frutto dell’anestetizzazione dei rischi finanziari sistemici innescata dalla FED, che tra le righe ed in modo più palese, rispetto a quanto fatto in passato, si sarebbe detta pronta a sposare ulteriori “QEs” qualora ce ne fosse bisogno in futuro. L’eventuale interpretazione in chiave “friedmaniana” della futura politica monetaria in seno ai vertici di Washington implicherebbe una capacità strutturale di volgere a cancellazione il debito netto nel sistema americano, con riduzione notevole dei rischi di deflazione e consequenziale confronto diretto con quello che ad un certo punto diverrebbe l’unico antagonista da fronteggiare: l’inflazione. Lo swing delle aspettative inflazionistiche in settimana è apparso determinante e tale da lasciar intendere che sul mercato stesso vi sia anche soltanto un tentativo di forzare l’asset-allocation spostando le percentuali di equity/bonds dei portafogli in linea generale dando credibilità all’ipotesi che sia la Federal Reserve ad avere il controllo delle operazioni. Poco chiaro è invece il tentativo mentale di alcuni addetti ai lavori di associare la caduta dei treasuries a tensioni sul mercato dei municipal-bonds, fenomeno questo da valutare nel prosieguo. Almeno in teoria, alla luce della trappola di liquidità i rischi di scomposti rialzi delle aspettative inflazionistiche sembrano per ora sopportabili e maggiori ex-ante appaiono le probabilità che le azioni keynesiane abbiano successo. Tuttavia la FED appare determinata a risolvere la crisi-immobiliare, cercando di innescare un rialzo dei prezzi delle case, con lo scopo di generare un’emersione degli immobili “under-water”, così da far transitare nei capitalmarkets fondi dall’arena dei bonds a quella degli assets reali per inflazionarli. Wall Street si muove in questo descritto contesto, essendo chiamata a reagire ai fitti dati macro previsti in agenda sia negli USA che in Cina, mentre le crisi fiscali dei paesi periferici europei pesano in controtendenza sull’avanzata delle quotazioni americane.
BORSA GIAPPONESE: Questa settimana è stata all’ insegna del denaro anche per il Nikkei225 (+1,25%) trainato al rialzo (10294,45) per il forte deprezzamento della moneta unica e per l’accelerazione dell’indice borsistico legato ai titoli export.
COMMODITIES: Settimana laterale-ribassista per il mercato delle materie prime che ha preso atto sia del compromesso sugli sgravi fiscali di Barack Obama che dell’import export cinese che crescendo più del previsto nel mese di novembre ha finito per rafforzare le ipotesi che Pechino aumenti a breve i tassi d’interesse per tenere sotto controllo l’inflazione. I principali protagonisti della settimana sono stati il rame (+2,75%), il succo d’arancia (+2,42%), il caffè (+2,37%), il nichel (+1,85%) e il gas naturale (+1,56%). Le vendite hanno invece interessato in particolar modo i metalli preziosi, la benzina, la soia, i bovini vivi e il cotone, quest’ultimo fanalino di coda in virtù di un calo del 3,77%. Il contratto future sul petrolio WTI con scadenza gennaio ‘11 si è mosso nell’intervallo di prezzo 87,10 $ – 90,76 $ (livello massimo degli ultimi ventisei mesi) per poi segnare una chiusura in area 87,79 $ al barile, in calo di 1,40 dollari. Da inizio 2010 il mercato del petrolio segna un rialzo dell’11,33% avendo avuto una media prezzo poco inferiore ai 79 $ al barile. Nel corso della settimana il prezzo dell’oro è salito ancora toccando un nuovo record a 1.431,10 dollari l’oncia prima di ripiegare nel finale a 1.384,30 $/oz. Il metallo prezioso per eccellenza continua a essere considerato dai grandi fondi d’investimento un bene rifugio per eccellenza di fronte all’incertezza che grava sull’economia europea e alla prospettiva di una nuova iniezione di liquidità sul sistema americano. Da inizio anno il mercato dell’oro registra un balzo del 27%.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO EUROPEO: Per quanto riguarda il mercato obbligazionario europeo, la Bce riporta che i tassi d’interesse dell’area euro continuano a essere “adeguati”, con prospettive d’inflazione “moderate” e una dinamica di fondo della ripresa che rimane positiva. La Banca centrale evidenzia tuttavia che la dinamica della ripresa economica presenta delle incertezze, in particolare permangono timori riguardo al riemergere di tensioni nei mercati finanziari. Sebbene alcuni paesi registrino andamenti dei conti pubblici più favorevoli di quanto atteso in precedenza, per altri rimane molto viva la preoccupazione circa la sostenibilità delle posizioni di bilancio e la vulnerabilità a reazioni avverse del mercato. Nel Bollettino mensile si evince che nel 2012 quattro Paesi, il Belgio, l’Irlanda, la Grecia e l’Italia, dovrebbero registrare rapporti di debito/Pil superiori al 100%. Fitch ha tagliato il rating sul debito dell’Irlanda di tre “gradini” a “BBB+” da “A+” con outlook stabile. Il taglio trova una giustificazione negli ulteriori costi che Dublino deve sostenere per ristrutturare il sistema finanziario del Paese, nelle prospettive di crescita molto deboli, nella più forte incertezza per il futuro e nell’impossibilità del governo di accedere ai mercati a costi sostenibili per finanziarsi. Tutto questo porta il governo irlandese ad avere margini di manovra molto limitati in campo fiscale. Nell’ultima settimana si è registrata una frenata dei titoli di Stato tedeschi con il tasso di rendimento del decennale che intraweek è risalito sopra la soglia del 3% per la prima volta dal 10 maggio scorso, raggiungendo il 3,03%, il livello più alto dai tempi del varo del piano di salvataggio della Grecia. La curva dei rendimenti in Germania ha registrato un movimento di shifting verso l’alto di 3-22 bps: il 2-anni (1,08%) ha guadagnato 22 bps, il 5-anni (1,99%) è salito di 16 bps, il trentennale di 3 bps fermandosi al 3,37%. Il via libera del Parlamento irlandese ad alcuni capitoli della dura manovra di bilancio per risanare i conti non è riuscito ad attenuare i timori per la crisi del debito in Europa fallendo così il tentativo di stemperare le tensioni sul mercato obbligazionario. I rendimenti dei titoli di Stato dei Paesi “periferici”, ad eccezione dell’Irlanda, sono nuovamente saliti. Lo spread dei BTP decennali vs Germania viaggia sui 160 punti, quello della Grecia a 873 punti, quello della Spagna si è attestato a 245 punti, quello portoghese a 330 punti, quello irlandese a 513.
MERCATO OBBLIGAZIONARIO USA: Il mercato dei treasuries americani si è mosso al ribasso durante l’ottava confermando la sua vulnerabilità che prende le mosse, forse non casualmente, dall’avvio di una politica restrittiva sposata in seno alla People’s Bank of China (PBOC), mentre l’inflazione cinese risulta in fase di rialzo. D’altro canto l’azione di “QE2” proposta ad inizio novembre dalla Federal Reserve conferma che, come avvenuto in concomitanza con il “QE1”, i treasuries tendano a vivere un periodo di arretramento e ad underperformare rispetto ai risky-assets. Il price-action al ribasso dei treasuries ha accelerato in settimana allorquando l’Obama-administration ha proposto di prolungare i tagli-fiscali introdotti con l’era-Bush, estendendoli anche alle famiglie rientranti nelle fasce di reddito più elevate. La politica fiscale, pur in un contesto di rialzo su nuovi livelli di record storico del GDP a stelle e strisce sulla nuova soglia dei 14 trillioni e ¾ di dollari, appare cruciale per gli stati che devono riordinare i conti pubblici. La FED sta cercando di far allargare gli spreads di tasso China-USA, facendo infittire la pioggia di dollari sulla testa della PBOC mediante una destabilizzazione del quadro inflazionistico giallo, con lo scopo di spezzare il peg di dollaro-yuan. Lo spread Shibor-Libor a 3-mesi è salito ancora in settimana, con la PBOC che ha annunciato un altro rialzo dei cash-reserve-ratios, l’ennesimo. È ’ opinione condivisa sia da Bernanke, presidente della FED, che da Geithner, ministro del Tesoro, che una discesa repentina del dollaro-yuan possa contribuire a rilanciare i valori di housing market e di conseguenza l’economia americana. Il mercato sposterà in settimana il focus sul FOMC del 14 dicembre.
MERCATO FOREX: La fluttuazione del mercato dei cambi è apparsa snodarsi provando ad imperniarsi sulla scia di ipotizzabili correlazioni di duplice natura apparse più fluide e maggiormente pulsanti all’interno del price-action delle asset-classes: la correlazione tra dollaro e commodities , da un lato, e
la correlazione eventualemente da verificare tra euro e tassi periferici della Euro-Zone, dall’altro. Si tratta di due rapporti rivisti in chiave innovativa dai mercati finanziari dietro i quali vanno a celarsi interessi contrastanti di attori prevalenti nonché valutazioni che potrebbero finire col risultare determinanti in chiave previsiva. Un tempo i prezzi delle commodities erano soliti muoversi in fase ascensionale in contesti anti-dollaristi, mentre oggi pare vero l’esatto contrario. D’altro canto appare interessante seguire la relazione tra dollarismo e tassi d’interesse periferici. Suddette constatazioni sono la risultante di un G-20 apparso sterile a Seoul, in cui, sembra venuto meno il perseguimento di un equilibrio di Nash in campo valutario, che ottimizzi la ricchezza espressa dai mercati finanziari a livello globale facendo prevalere logiche protezionistiche. Come aveva tenuto a precisare Bernanke, presidente della FED, il mercato dei cambi incede in modo “squilibrato”, in un frangente in cui prevale l’adozione di sistemi di cambi fissi che alimenta gli squilibri finanziari, riferendosi in prevalenza al peg di dollaro-yuan, ma più in generale a tutte quelle nazioni le cui FX-reserves hanno ritmi di crescita sostenuti in presenza di Real-Effective-Exchange-Rates statici.
Il mercato ha dato la sensazione di definire una correlazione tra i livelli dei tassi d’interesse periferici ed il dollarismo. In presenza di maggiore dollarismo i tassi governativi della periferia
europea tendono a salire per via del potenziale stagflattivo insito in suddette dinamiche quando i prezzi delle commodities salgono. La fluttuazione dei mercati finanziari serve in altre parole a ricordare alle autorità tedesche che una discesa esasperata dell’euro-dollaro in un contesto di prezzi delle commodities in ascesa crea prospettive stagflattive per le economie aventi deficit di trade e di current-account, implicando che i vantaggi immediati germanici di una strategia di svalutazione dell’euro-dollaro possano risultare inferiori rispetto agli svantaggi derivanti da una destabilizzazione sistemica della periferia europea interconnessa finanziariamente al sistema bancario tedesco.