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Investimenti e mercati

Report settimanale sui mercati finanziari dell’8 novembre

Come da copione, ottimi dati ma prevale l’incertezza! Quella appena conclusa è stata una settimana importante per i mercati finanziari, con fatti che influenzeranno la dinamica delle politiche fiscali e monetarie mondiali dei prossimi mesi.

RISCHIO SOVRANO:
Ma la settimana non è stata tutta rosa e fiori. E’ dei giorni scorsi la notizia che alcuni fondi sovrani considerano i titoli di stato spagnoli e irlandesi poco attraenti. Infatti, la piazza di Atene è stata la peggiore mentre nuove tensioni si sono registrate sui titoli di Stato di Irlanda, Portogallo, Spagna, Italia e della stessa Grecia. Per gran parte dell’ottava la Borsa di Dublino è stata sotto osservazione. A pesare è stata soprattutto la percezione di un crescente rischio default di Allied Irish Bank, tanto che il ministro delle Finanze Brian Lenihan ha dichiarato che l’Irlanda e la stessa banca onoreranno gli impegni con gli obbligazionisti. Lenihan ha anche assicurato che la banca irlandese non sarà completamente nazionalizzata. L’Anglo Irish Bank finirà per proporre ai titolari di 2 miliardi di euro di obbligazioni valide come capitale di secondo livello uno scambio con titoli pubblici a un anno, al 20% del valore nominale, cioè con una perdita dell’80%. Uno scambio “lacrime e sangue”. Evidentemente anche le azioni sono considerate alla stessa stregua dagli investitori.

MERCATI AZIONARI USA:
Quanto a Wall Street, i principali indici si sono portati sui massimi dell’anno, con l’S&P 500 che ha superato l’importate soglia di 1.200 punti. Ma andiamo con ordine. Negli Stati Uniti si sono tenute le elezioni di metà mandato, concluse con una disfatta dei democratici che hanno perso la Camera e mantenuto, ma solo per un soffio, il Senato. Il presidente Barack Obama si è detto ‘mortificato’ e si è assunto la piena responsabilità del pessimo risultato del suo partito, assicurando che lavorerà insieme ai repubblicani per realizzare le riforme. Nell’attesa di comprendere quale sarà la nuova politica fiscale americana, la Federal Reserve ha lasciato i tassi fermi tra lo zero e lo 0,25% e ha annunciato un aggressivo piano di stimoli all’economia, che prevede interventi fino a 600 miliardi di dollari per acquistare titoli di Stato a medio-lungo termine entro il giugno 2011. Si tratta di una manovra da 75 miliardi al mese. Secondo l’istituto centrale la ripresa economica procede a passo troppo lento, mentre l’inflazione strutturale di breve periodo potrebbe addirittura scendere. Il mercato del lavoro, inoltre, alimenta non poche preoccupazioni, sebbene i dati di ottobre siano stati buoni con la creazione di 151mila posti e una disoccupazione rimasta stabile al 9,6%. La decisione della Fed, tra l’altro, è stata accolta con disappunto dai paesi emergenti di Asia e Sud America, preoccupati per i flussi di capitale che si riverseranno sulle economie di tutto il mondo. In questo clima, ovviamente, si profila un G20 animato.

MERCATI EUROPEI:
Intanto in Europa la Bce ha confermato il livello dei tassi (repo all’1%) e ha confermato la propria ‘exit strategy’. L’istituto di Francoforte ha di nuovo puntato l’indice sul rigore che deve ispirare la politica degli stati europei, un tema caldo sul quale si interrogano gli investitori, sempre più timorosi per i conti di alcuni stati. A dimostrazione non vi è solo la performance delle Borse, ma anche il differenziale tra il rendimento dei titoli governativi dei paesi “core” e quelli dei così detti paesi periferici, enormemente salito. D’altra parte, nonostante la congiuntura economica sia complicata, c’è chi continua a fare il pieno di risultati. Un esempio? Apple ha chiuso il trimestre al 25 settembre con un utile in rialzo del 70%. Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso in maniera positiva la settimana; infatti troviamo Londra che con il suo Ftse100 ha chiuso in rialzo (+3,53%) mentre Francoforte e Parigi hanno chiuso anche loro la sessione settimanale in territorio positivo con rialzi rispettivi dello 2,32% (Dax30) e del 2,17% (CAC40). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore delle risorse di base (+7,14%) seguito da quello chimico (+4,98%) ed infine dal settore costruzione (+4,51%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore bancario (-2,94%), seguito dal settore telecom (-1,23%) ed infine da quello retail (-0,87%). Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Arcelormittal (+10,72%), Crh (+9,96%) e Basf (+9,35%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Santander (-7,92%), Bbva (-7,75%) ed infine Alstom (-5,20%).

BORSA ITALIANA:
Piazza Affari chiude la settimana con un consistente ribasso del nostro indice, trascinata al ribasso  dalla pessima intonazione dei titoli bancari affossati dal ritorno del rischio legato ai paesi periferici che in questa tornata sembra racchiudere anche il nostro Paese e dalle conseguenze del report negativo da parte di Moody’s sui nostri istituti bancari. La settimana si è chiusa con un ribasso dello Ftse/Mib (-1,19%), terminando le contrattazioni a 21195 punti. Il quadro di breve periodo si è fortemente indebolito, e solo un ritorno sopra i 21500 punti potrebbe dar luogo ad un nuova fase di accumulazione e spingere il nostro indice verso target importanti quali nell’ordine, 21700 e poi 22150 dopo si andrebbe a chiudere il gap lasciato aperto lo scorso aprile. Di contro, solo il ritorno sotto i 21.000 punti potrebbe riportare nuove ombre sul rimbalzo delle ultime settimane ma sarà soltanto il cedimento di 20.800 a provocare l’inversione ribassista del trend. Fra i titoli maggiori  dobbiamo segnalare in denaro Exor (+9,10% rialzo dovuto alla promozione giunta da parte di Ubs), Tenaris (+5,44% spinta al rialzo dall’ottima trimestrale che ha mostrato un utile sopra le attese degli analisti) e Buzzi Unicem (+5,21% rialzo dovuto all’ottima intonazione dell’intero settore) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Fondaria Sai (-13,30% ribasso dovuto alla nota vicenda della galassia Ligresti dove secondo gli analisti di Equita l’aumento di capitale di Premafin rende molto probabile una simile operazione per Fondiaria Sai), Mps (-8,01% ribasso dovuto per le perplessità legate al noto movimento dei PIIGS e per le insistenti voci degli operatori che vedono anche il gruppo senese prossimo ad un aumento di capitale) ed infine Finmeccanica (-6,58% ribasso dovuto alla discreta trimestrale ma che sembra non aver entusiasmato il mercato).

FED E POLITICA ECONOMICA USA:
Archiviata una settimana di grande intensità che è passata prima per la riunione del Fomc e il relativo lancio della nuova manovra di quantitative easing e poi attraverso il rapporto sulla disoccupazione in ottobre che ha visto il primo ritorno alla crescita di posti da maggio, Wall Street avra’ modo nei prossimi giorni di metabolizzare con relativa calma tutte queste informazioni e decidere le nuove strategie di investimento. Il calendario della settimana entrante si preannuncia infatti piuttosto leggero con due rapporti di particolare rilievo solo mercoledì, con la bilancia commerciale di settembre e venerdì con la fiducia dei consumatori relativa alla prima meta’ di novembre misurata dall’università del Michigan. I mercati finanziari americani si godono intanto il rally delle ultime settimane che ha permesso al Dow Jones di riportarsi sui valori di precrisi. Gli investitori hanno reagito molto positivamente all’annuncio della manovra di QE2 che prevede acquisti di titoli di stato per 600 miliardi di dollari nell’arco dei prossimi otto mesi, con una media mensile di 75 miliardi e la promessa di ulteriori misure qualora questo si rendesse necessario. La Fed ha inoltre confermato nel comunicato di fine vertice il suo intento lasciare i tassi di interesse "eccezionalmente bassi" ancora per un lungo periodo di tempo, fino a quando cioè non giungeranno segnali incoraggianti in termini di velocità della ripresa e di consolidamento del mercato del lavoro. Proprio su questo fronte sono giunte oggi informazioni incoraggianti con la creazione in ottobre di 151.000 posti di lavoro, oltre il doppio delle attese degli analisti. Si è trattato della prima creazione di nuovi impieghi da maggio e la speranza è che il trend possa consolidarsi nei prossimi mesi consentendo al tasso di disoccupazione di scendere dall’attuale livello del 9,6% e del 17% se si includono anche quanti hanno smesso di cercare attivamente lavoro o hanno un impiego part-time. Sgombrata la strada di questi due cruciali ostacoli di percorso, e incassata anche una performance del pil del terzo trimestre superiore alle attese (+2%).

MERCATI AZIONARI ASIATICI: Questa settimana è stata all’ insegna del denaro anche per il Nikkei225 (+5,76%) trainato al rialzo (9733,42) dalla rottura della resistenza  posta a 9500 punti e dalle premesse positive con cui gli operatori giapponesi hanno accolto la mossa di QE2 da parte della Federal Riserve.

COMMODITIES: Per l’undicesima settimana consecutiva il mercato delle materie prime ha finito per registrare un bilancio positivo. Nell’ultimo periodo il mercato delle materie prime ha beneficiato sia della debolezza del biglietto verde che dei più che confortanti dati congiunturali provenienti dall’Asia e dal Pacifico nonostante le misure restrittive attuate da diverse banche centrali. I principali protagonisti della settimana sono stati il cotone (+13,55%), lo zucchero (+9,07%), l’argento (+8,89%), l’heating-oil (+7,42%) e il petrolio (+6,66%). Le vendite hanno invece interessato solo ed esclusivamente i bovini vivi, il cacao e il gas naturale.

PETROLIO:
Il contratto future sul petrolio WTI con scadenza dicembre ’10 si è mosso nell’intervallo di prezzo 81,32 $ – 87,43 $ (nuovo massimo delle ultime 52 settimane) per poi attestarsi nel finale a quota 86,85 dollari al barile, in rialzo di circa 5,5 dollari. Il petrolio da inizio 2010 segna un rialzo del 9,6%.

METALLI PREZIOSI:
Settimana “record” per il mercato dei preziosi. Il contratto future sull’oro ha archiviato gli scambi a quota 1.397,70 $/oz, in rialzo di 40 dollari, per un +26,9% da inizio 2010, dopo aver registrato il nuovo massimo torico a quota 1.398,70 $/oz. Sulla scia dell’oro anche il mercato dell’argento ha finito per allungare attestandosi a quota 26,75 $/oz, in rialzo di oltre due dollari, per un balzo da inizio 2010 del 59%.

MERCATI OBBLIGAZIONARI EUROPEI:
La Banca centrale europea ha lasciato invariato all’1% il tasso di riferimento principale in Eurolandia. La situazione è tale da richiedere un continuo ed attento monitoraggio. La cautela e la prudenza sono quanto mai d’obbligo perché pur essendo la crescita europea migliore di quanto si potesse pensare non è tale ancora da poter cantare vittoria. Ce la farà il resto d’Europa, soprattutto in zona mediterraneo, a sostenere i rigori della cura? Il Presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha attaccato in maniera decisa Germania e Francia, che vogliono coinvolgere il settore privato nel fondo permanente di sostegno ai paesi in crisi, manifestando il timore che le nuove regole traducendosi potenzialmente in spread maggiori causerebbero un ulteriore aggravio per il rifinanziamento del debito dei paesi più deboli come Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna. Purtroppo quanto temuto da Trichet si sta registrando effettivamente sui mercati. I rendimenti dei titoli di stato dei paesi “periferici” sono schizzati verso l’alto così come si sono allargati gli spreads sul mercato dei CDS del debito sovrano a medio-lungo termine. Settimana rialzista per il mercato obbligazionario tedesco. Il contratto-future sul decennale si è mosso nell’intervallo di prezzo 129,16–130,87 per poi segnare una chiusura in area 130,25 punti, in rialzo di una figura, poco sotto la media mobile a 100-giorni (130,45). La curva dei rendimenti tedeschi è scesa di 1- 16 bps: il 2-anni si è attestato sotto allo 0,91% (-7 bps), il 5-anni all’1,56% (-15 bps), il 10-anni al 2,42% (-10 bps) e il 30- anni al 2,9 1% (-8 bps). Sul fronte interbancario, il tasso Euribor a tre mesi è risalito a quota 1,050%, toccando il valore massimo degli ultimi quindici mesi e superando il livello del tasso di riferimento fissato dalla Bce.

MERCATI OBBLIGAZIONARI USA: Oltreoceano, invece, la Fed al termine della riunione di due giorni ha lasciato invariati i tassi d’interesse fra lo zero e lo 0,25% dichiarando che resteranno bassi per un periodo prolungato di tempo. Nel comunicato la Fed riporta che le informazioni in suo possesso confermano che la ripresa continua a essere lenta e i consumi continuano a migliorare gradualmente ma restano limitati dall’elevata disoccupazione, dalla modesta crescita dei redditi e dalla stretta del credito. Quanto all’inflazione la Fed precisa che le aspettative d’inflazione a lungo termine restano stabili, anche se l’inflazione sottostante è rallentata nei trimestri recenti. Per promuovere una ripresa più forte e aiutare l’inflazione a restare in linea con il suo mandato, la Fed ha deciso di ampliare gli acquisti di titoli: entro la fine di giugno 2011 procederà all’acquisto di ulteriori 600 Bln $ di titoli di stato, comprandone circa 75 Bln $ al mese. L’obiettivo principale del QE è quello di allentare la pressione sui tassi d’interesse di lungo termine, elemento indispensabile per una ripresa del mercato immobiliare. La curva dei rendimenti negli USA ha finito per registrare un movimento di steepening, spiazzando forse le volontà della Fed: in denaro il segmento di curva 3-10 anni, in lettera il comparto 2-3 anni e 10-30 anni. Il 2 -anni si è attestato a 0,37%, il 5 -anni a 1,09%, il 10-anni a 2,53%, il 30-anni a 4,12%.

MERCATO DEI CAMBI: Per quanto riguarda il mercato dei cambi, la settimana appena conclusasi sarà ricordata come la cinque giorni delle banche centrali. All’indomani della manovra di stimolo varata dalla Federal Reserve è subito scattato l’allarme per gli effetti del dollaro debole sulle economie più sensibili alle fluttuazioni del biglietto verde, in testa i mercati emergenti che già minacciano un’azione comune, a pochi giorni dal vertice G20 di Seul. Un terremoto che ha finito per mobilitare le autorità di molti Paesi, da Giappone e Svizzera a Brasile e Corea del Sud, preoccupate per i contraccolpi del dollaro debole nel lungo periodo. Unica voce fuori dal coro quella del numero uno della Bce, Jean-Claude Trichet, che si è detto fiducioso nell’impegno americano per un dollaro forte.