A giudicare dagli indici che misurano l’attività manifatturiera e dei servizi, tutti prossimi alla soglia della contrazione in Europa e negli Usa, si direbbe che una recessione, a soli tre anni dalla precedente, è oggi un po’ più probabile. Se si giudica dai rendimenti dei titoli di Stato decennali negli Stati Uniti e in Germania, entrambi ai minimi storici (al 2% circa), si direbbe che è certa. Ma questi rendimenti sono drogati dalla fuga verso una presunta sicurezza scatenata della crisi dei debiti sovrani in Europa e dalla politica ultra accomodante della Fed, decisa a tenere i tassi a zero per un lungo periodo e pronta a un nuovo massiccio acquisto di Treasury.
Wall Street, a giudicare dagli umori dei dealer, specie nella giornata di venerdi, parrebbe propendere per la tesi della recessione. Ma questi umori, sono strumentali: poiché dipingere il quadro macroeconomico a tinte sempre più fosche è un atteggiamento che premia, se serve a spingere la Fed verso il Qe3. Ed è probabile che Ben Bernanke, fra poco più di due settimane, verrà incontro ai mercati somministrando altra liquidità: questa volta attraverso l’espediente di allungare la duration dei Treasury in circolazione, acquistando titoli a lunga scadenza e vendendo quelli a breve termine.
Infine, se si dovesse giudicare dall’andamento di Wall Street, la recessione parrebbe alquanto improbabile,in quanto da inizio anno, l’S&P ha perso poco più del 6%, che sembrerebbe tanto se si pensa che gli utili societari potrebbero crescere nel 2011 di circa il 15%. Ma è nulla se confrontato con la caduta del 16% dell’indice Stoxx (addirittura 19% per lo Stoxx dell’area euro e 25% per il Mib di Piazza Affari).
Colpa della crisi dei debiti sovrani nel Vecchio continente, si dirà: cosa assai vera, considerando le miserevoli condizioni di Grecia, Portogallo e Irlanda; ma è anche cosa procurata dalle pesanti vendite dei fondi Usa e della speculazione internazionale, se si pensa che l’acme della crisi è avvenuto con l’attacco ai debiti italiano e spagnolo. E il tutto è ben lungi dall’essere risolto. Il paradosso di questa crisi è che buona parte delle vendite speculative sono state innescate dalle grandi banche d’affari e da quelle americane in particolare.
AZIONI EURO. Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio positivo la settimana; infatti troviamo Londra che con il suo Ftse100 ha guadagnato il 3,14% mentre Parigi con il Cac40 (+1,97%) ed infine Francoforte ha chiuso in frazionale rialzo (+0,02%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore delle risorse di base (+4,78%), seguito da quello oil&gas (+4,34%) ed infine dal settore dei media (+3,84%) mentre in lettera non dobbiamo segnalare nessun settore. Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Nokia (+9,19%), Repsol (+8,67%) e Vivendi (+7,48%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Deutsche Telekom (-6,93%), Carrefour (-3,89%) ed infine L’oreal (-3,87%).
AZIONI ITALIA. Piazza Affari chiude la settimana con un rimbalzo del nostro indice, trainato al rialzo dai titoli industriali e delle costruzioni. Nell’attesa di vedere come si muoverà il mercato si possono fare alcuni ragionamenti. Nei momenti di crisi e forte volatilità il mercato si comporta in modo gregario. Ognuno cerca di capire quello che farà l’altro e se tutti vendono io vendo o il contrario. La novità della passata settimana è che su certe notizie non molto entusiasmanti il mercato ha reagito debolmente o al contrario di quello che uno poteva aspettarsi, il tutto con volumi bassi.
Al momento attuale la mia convinzione è che la maggioranza crede e prevede in un ribasso che forse troverà un supporto robusto solo sui valori dei primo giorni di Marzo 2009.Sentinelle di una eventuale inversione del sentiment negativo saranno i mercati indiano, brasiliano o cinese che da tempo anticipano ogni movimento. La tentazione di rischiare c’è ma i segnali sono ancora troppo deboli per motivare delle decisioni saggie. Decidere di essere liquido al 100% per il mese di Agosto si è rilevata una strategia vincente. Chiudendo questa piccola parentesi, la settimana si è chiusa con un discreto rialzo dello Ftse/Mib (¬+1,79%), terminando le contrattazioni a 15061 punti. Da un punto di vista tecnico il quadro di breve periodo resta negativo e soltanto il ritorno delle quotazioni sopra i 15700 punti potrebbe offrire un primo slancio rialzista e proiettare l’indice verso la soglia psicologica dei 16000 punti; di contro la perdita di area 15000 punti darebbe luogo ad una pericolosa ed ampia gamba ribassista che proietterebbe l’indice dapprima verso l’area dei 14700 punti e poi in seguito sui 14400 punti, senza escludere estensioni ribassiste fin verso i 13800 punti. Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Fiat Industrial (+7,58%), Campari (+7,48%) e Impregilo (+7,03%) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Bmps (-6,08%), Bpm (-5,26%) ed infine Ubi Banca (-4,64%).
AZIONI USA. Per quanto riguarda il mercato azionario americano in settimana ha provato a muoversi in rialzo in preda ad un rimbalzo tattico ma anche trainato da dati macro-americani che sul fronte del volano produzione-consumo non sono risultati recessivi in settimana fino all’uscita dei negativi dati occupazionali americani, con i nuovi occupati che al livello di zero ad agosto, hanno confermato l’arresto della crescita sul fronte del mercato del lavoro USA.
I dati della settimana fino ai payrolls avevano mostrato crescita, per quanto potenzialmente oggetto di ridimensionamento in un frangente di deprimente fiducia da parte degli attori economici. Se da un lato i parametri che esprimono il livello di crescita micro-macro possano costituire un indicatore di remuneratività per chi investe sulle asset-classes rischiose, equity-market compreso, dall’altro i parametri di fiducia degli attori economici possono costituire un indicatore di “risk” (rischiosità) di queste stesse asset-classes. A prescindere dalla bontà dei tassi di crescita e dunque dalla remuneratività della classe al momento ci si muove in un environment di maggiore rischiosità.
Nel frattempo il movimento del mercato azionario americano in questa fase sarebbe in parte esogenamente “condizionato” dalle attese di un eventuale QE3 da parte della Federal Reserve che si infiammano in presenza di dati macro negativi e si affievoliscono in presenza di dati macro positivi, contribuendo a confondere le acque. L’S&P500, partito in settimana dal livello di 1.177 punti, si è innalzato fino sulla nevralgica fascia delle resistenze passante a 1.228-1.230 punti, zona grafica che ha tenuto egregiamente, conferendo all’analisi tecnica a questo giro una certa utilità, come non sempre accade sui mercati finanziari. L’S&P500 ha poi chiuso la settimana a 1.173 punti. Nella zona di 1.228-1.230 punti, ricade anche uno dei punti cardine di Fibonacci dal credit-crunch ad oggi.
Suddetta area si conferma di resistenza mentre in basso non vi sono supporti fino alla zona di 1.101-1.120 punti. Nel frattempo gli RSI a 14-giorni appaiono meno scarichi in basso, avendo cancellato la sensazione di ipervenduto tecnico che si ricavava dagli screens . La caduta degli indici di borsa statunitensi, attenuata dalle due stampelle dei tassi bassi e del dollaro-debole s ’incastona in un quadro la cui cornice è stata ben definita e le cui tinte appaiono meno sfocate e più chiare. Andando per gradi e rivolgendo lo sguardo al recente passato, il punto di partenza del sell-off sull’equity-americano è rappresentato dalla data del 2-agosto, giorno in cui il parlamento americano a Washington ha decretato legalisticamente la fine della politica keynesiana per il tramite di un taglio della spesa pubblica da 2,4 trillioni di dollari.
Una spalmatura di un simile importo su un arco temporale di tipo decennale implicherebbe un taglio della crescita del GDP a dollari correnti USA di 1,6 punti percentuali all’anno, quanto basta per spingere la lancetta delle stime di crescita del prodotto interno lordo americano anche al di sotto del +1,0% y/y, salvo immaginare una sorpresa positiva sul fronte del settore-privato negli USA.
Il cruscotto micro-macro finora ha risposto dando delle indicazioni molto precise: sul fronte macro, fatta eccezione per l’involuzione dei prezzi delle case, ritornati a cadere in “double-dip” nella metà del primo semestre 2011, e per l’attuale arresto della crescita nel job-market, il volano produzione-consumo ha continuato a girare, mentre sul fronte micro le trimestrali del Q2 2011 hanno continuato a mostrare crescita, sebbene con meno diffusività rispetto al passato. In un contesto in cui sarebbero in molte le boutique finanziarie a giungere alla conclusione secondo cui l’S&P500 sarebbe sottovalutato, considerazione le cui motivazioni basate forse meramente sull’analisi del “reward” (rendimento) sarebbero anche in parte condivisibili in quanto corrette, riesce difficile invece arrivare ad un simile esito positivista sotto il profilo concettuale se a-latere dell’analisi dei rendimenti si affiancasse un’analisi del “risk”.
OBBLIGAZIONI EURO. Per quanto riguarda il mercato obbligazionario europeo, la Bce nella giornata di mercoledì ha drenato dai mercati dell’eurozona una somma pari a 115,5 miliardi di euro di liquidità per sterilizzare gli acquisti di titoli di Stato fin qui realizzati. Nel corso della settimana il Tesoro italiano ha emesso titoli a dieci anni e altri bond con scadenza nel 2014 e nel 2018 in un contesto dominato dalla preoccupazione che, senza l’apporto della Bce, ci possa essere il ritorno della speculazione. Da quando la crisi è scoppiata la Banca centrale europea è corsa in aiuto acquistando titoli di Stato irlandesi, ellenici, portoghesi, italiani e spagnoli.
Le prospettive per la crescita nell’Eurozona sono “modeste” e le incertezze, determinate dagli aggiustamenti di bilancio in diversi Paesi membri, sono molteplici. I piani di austerità dei Paesi “salvati” (Grecia, Portogallo e Irlanda) e quelli di Italia e Spagna porteranno molto probabilmente alla recessione (si è in recessione “tecnica” se per due trimestri consecutivi il Pil registra un calo “congiunturale”) o alla stagnazione (le rilevazioni del Pil mostrano livelli di crescita nulla, o estremamente ridotta, per un periodo piuttosto lungo, maggiore di un solo trimestre) dell’economia mentre per il resto del Vecchio Continente le pressioni sulla capacità di finanziarsi sono meno acute.
Anzi, il basso livello dei rendimenti richiesti suggerisce l’esistenza di abbondanza piuttosto che di scarsità di fondi disponibili. I differenziali di rendimento tra i titoli tedeschi e quelli italiani, spagnoli e greci anche questa settimana hanno finito per allargarsi, in virtù di un nuovo ripiegamento della curva dei rendimenti in Germania e di un’impennata delle altre tre in questione. La rassegna macro in agenda nella settimana ha evidenziato un calo della fiducia economica ad agosto con un ritracciamento sotto quota 100 e un tasso di disoccupazione rimasto “laterale ” al 10% a luglio.
I tassi in Germania sono calati di 5-16 bps: il 2-anni si è collocato allo 0,52% (-13 bps), il 5-anni all’ 1,08% (-16 bps), il 10-anni al 2,01% (-15 bps), il 30-anni al 2,94% (-5 bps). Lo spread ITA-GER è salito di 36 bps a +328 bps, quello SPA-GER di 27 bps a +312 bps, quello GRE-GER di 58 bps a + 1.627 bps. Lo stesso discorso vale per il rischio -default misurato dai contratti derivati “credit-default swap” a 5-anni, schizzato nel caso della Grecia nell’ultima ottava a quota 2.340 punti e nel caso dell’Italia a quota 397 punti. Temperature in calo per il Portogallo e l’Irlanda. La crisi dei debiti sovrani sta frenando la ripresa in Eurolandia, e spingerà probabilmente, secondo gli analisti, la Bce a tenere fermi i tassi d’interesse. Se i rischi al ribasso proseguono secondo il Fmi invece la Banca centrale europea avrebbe spazio per allentare ulteriormente la propria politica monetaria.
OBBLIGAZIONI USA. Il treasury-market statunitense, pur tergiversando in consolidamento laterale durante tutta l’ottava, ha tratto spunto dai dati occupazionali americani per rompere gli indugi e riuscire non soltanto a confermare le sue intenzioni di consolidamento rialzista sulla parte alta guadagnata in precedenza, ma anche ad estendere il suo movimento bullish amplificandone le proporzioni in rally. Il T –bond ha brillato sulla parte alta in un’escursione dirompente, andando a sollecitare e bucare anche i livelli di top disegnati in data 19 agosto. I trentennali americani, che già si erano innalzati in velocità in alto, hanno accelerato, con i bond-traders che hanno preso coraggio andando a comprare ancora il T-bond dopo il brutto dato sui non-farm-payrolls venuto fuori pari a 0mila, contro il dato atteso di +68mila e col dato di luglio rivisto al ribasso da +117mila a +85mila. Anche il dato di giugno è stato rivisto al ribasso da 46mila a 20mila.
Con l’unemployment-rate che non riesce più a cadere, ingessato in alto al 9,1%, la crescita del labor-market appare essere giunta ad un punto di stallo. La yield-curve americana si è appiattita in settimana, mandando dopo molto tempo lo spread 2-10 anni USA anche molto al di sotto della resistente soglia dei +200 basis points. Dopo aver spento i motori keynesiani per motivazioni legate alla necessità di un maggior rigore fiscale pena un’ulteriore maggiore volatilità del sovereign-rating USA, non resta che il motore della politica friedmaniana, al momento poco raccomandabile alla luce degli elevati parametri inflattivi espressi tanto dall’indice dei prezzi al consumo quanto dall’indice dei prezzi alla produzione.
Pur sapendo che l’housing-market è in deflazione, eventuali azioni di QE incontrollate potrebbero innescare effetti indesiderati tanto a livello finanziario quanto sul tessuto micro-macro reale. L’ipotesi di un azione di “twisting” da parte della Federal Reserve è stata quella più caldeggiata dalla comunità finanziaria nel post non-farm-payrolls. Molti bond-strategists di fatto ritengono che la banca centrale americana possa decidere di estendere la scadenza dei propri titoli di stato in portafoglio, andando a vendere la carta a breve-termine detenuta per comprare quella più a lungo-termine.
Lungi dal pensare che una spinta in alto degli assets della FED possa a questo giro risultare costruttiva sotto il profilo ciclico secondo quanto visto in passato, in una fase ancora inflattiva, potrebbe forse risultare più giusto limitarsi a mutare le scadenze dei titoli in portafoglio lasciando al mercato la capacità di aggiustarsi da solo, ma contrastando in qualche modo le scelte di campo in materia di politica monetario-valutaria della People’s Bank of China, che appaiono discutibili e destabilizzanti per il mondo.