Dopo il varo da parte del Parlamento greco della nuova manovra sui conti pubblici che prevede tagli alle spese per 28,4 miliardi nei prossimi quattro anni e liberalizzazioni per 50, il nuvolone minaccioso della crisi del debito europeo sembra essersi allontanata e di molto all’orizzonte. Sebbene i problemi siano ben lungi dall’essere stati risolti, nondimeno la manovra varata dal parlamento greco consente lo sblocco dei nuovi aiuti da parte della comunita’ internazionale e sposta in la’ nel tempo di almeno due o tre anni il momento del dunque.
Al quale, a questo punto, si spera che tutti, dai governi agli investitori privati, possano giungere meglio preparati di quanto non fossero ora. Liberati da questa spada di Damocle, almeno nell’immediato, i mercati potranno ora tornare a concentrarsi sull’andamento della congiuntura e sulle prossime manovre di politica monetaria delle banche centrali. Per altro in questa settimana sono in calendario due appuntamenti clou: giovedì la Banca centrale europea dovrebbe alzare il costo del denaro di 25 punti base all’1,50% (livello già incorporato nei livelli dell’Euribor a 3 mesi) e il presidente uscente dell’istituto, Jean Claude Trichet, dovrebbe fornire indicazioni sui prossimi orientamenti dell’Eurotower.
Venerdì il Dipartimento americano del Lavoro renderà noto il numero di buste paga create in giugno e il tasso di disoccupazione, che in maggio si era attestato al 9,1%. Tali dati sono attesi con ansia visto che il mercato del lavoro rimane il tallone d’Achille della congiuntura Usa, sempre sotto lo stretto controllo dell’amministrazione Obama. Ma tornando alle vicende delle ultime giornate, i mercati mondiali sono tornati a guadagnare punti dopo che il Parlamento ellenico ha varato una nuova manovra sui conti pubblici che prevede tagli alle spese per 28,4 miliardi nei prossimi quattro anni, oltre che liberalizzazioni e vendite per 50 miliardi.
Sebbene i problemi siano ben lungi dall’essere stati risolti, la manovra consentirà lo sblocco dei nuovi pacchetti di aiuti da parte della comunità internazionale e scongiurerà dunque il peggio. Ecco perché sulle Borse europee è immediatamente tornato l’appetito per il rischio. L’entusiasmo per la situazione della Grecia si è propagato fino agli Stati Uniti, dove l’indice S&P500, rompendo gli indugi, nello spazio di poche sedute si è di nuovo spinto sui massimi dell’anno. Sul mercato dei bond ha inoltre provocato forti scossoni, con i rendimenti a 10 anni dei Bund e dei Treasury che sono tornati quasi ai livelli di inizio anno, intorno al 3%.
Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio positivo la settimana dove Parigi ha chiuso con una performance positiva (+5,9%) mentre Londra con il suo Ftse100 (+5,1%) ed infine Francoforte con il Dax30 (+4,1%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore bancario (+7,61%) seguito da quello delle risorse di base (+6,13%) ed infine da quello assicurativo (+5,96%) mentre in lettera non dobbiamo segnalare nessun settore. Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Societe Generale (+12,35%), Credit Agricole (+11,65%) e Bbva (+11,45%), mentre in rosso dobbiamo segnalare solo Danone (-0,77%).
Piazza Affari chiude la settimana con un forte rialzo del nostro indice, trainato nel denaro dal comparto bancario dopo che il Parlamento ellenico ha varato una nuova manovra sui conti pubblici che prevede tagli alle spese per 28,4 miliardi nei prossimi quattro anni, oltre che liberalizzazioni e vendite per 50 miliardi. A Piazza Affari hanno recuperato punti le azioni di Mps (+4% settimanale), mentre procede l’aumento di capitale da 2,1 miliardi. Hanno fatto bene anche altri titoli del comparto, anche se per quest’ultimi il bilancio dei primi sei mesi del 2011 è senza dubbio deludente: del resto solamente in Italia, da gennaio a oggi, quattro banche hanno lanciato operazioni sul capitale, per un totale di circa 10,1 miliardi.
Si tratta di Banco Popolare, Intesa Sanpaolo, Ubi e Banca Mps. Bpm, invece, ha già annunciato un rafforzamento del capitale per il prossimo autunno. Ma gli investitori si chiedono se tali aumenti siano sufficienti, dopo l’allarme lanciato da
Moody’s su 16 istituti italiani. I risultati degli stress test europei saranno una risposta importante per i mercati.
La settimana si è chiusa con un forte rialzo dello Ftse/Mib (¬+7,1%), terminando le contrattazioni a 20516 punti. Da un punto di vista tecnico il quadro di breve periodo è ritornato costruttivo e fondamentale sarà il ritorno delle quotazioni sopra i 20700 punti che permetterebbe all’indice di attaccare la resistenza posta a 21150 punti. Di contro, segnali di incertezza si avranno con discese al di sotto dei 20.000 punti e ancor più dei 19.800 che implicherebbe un ritorno verso i 19.500, andando così a negare quanto di buono realizzato nelle ultime sedute.
Fra i titoli maggiori dobbiamo segnalare in denaro Bpm (+17,20%),Unicredit (+12,77%) e Buzzi Unicem (+12,66%) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Fondiaria Sai (-30,53%), Egp (-1,04%) ed infine Atlantia (-0,12%).
Durante la settimana l’S&P500 ha prodotto un deciso rimbalzo. Partito da una chiusura mensile di 1.268 ,45 punti suddetto indice si è spinto fino a 1.341,01 punti, violando nuovamente al rialzo le medie-mobili a 50 e 100 giorni in area 1.316-1.317 punti e posizionandosi all’interno della zona grafica ampia delimitata in basso dalla fascia di 1.249 – 1.267 ed in alto dalla fascia di 1.361-1.370 punti.
La chiusura degli scambi è stata a 1.339,67 punti, in rialzo del 5,61%. Settimana più che positiva anche per il listino tecnologico Nasdaq100, in rialzo del 6,51% , a quota 2.361,39 punti. Diverse le motivazioni che hanno contribuito a determinare il rimbalzo. Di concerto ad impattare sono stati da un lato la fine del “QE2” della Federal Reserve e dall’altro la positività di alcuni dati macro che avvalorerebbero l’ipotesi tracciata dalla FED nell’ultimo Federal Open Market Committee secondo cui l’attuale rallentamento della crescita sarebbe temporaneo.
Nel FOMC, pur essendo state tagliate le stime di crescita del GDP del 2011, Bernanke, il governatore centrale, aveva ipotizzato un’accelerazione della crescita nel secondo semestre del 2011. Si tratta comunque di supposizioni in un contesto in cui comunque il rischio legato ai dati macro è aumentato rispetto al passato. A fugare eventuali dubbi o a confermarne la loro ragionevole esistenza sarà senz’altro a fine ottava il dato dei non-farm-payrolls: gli analisti stimano che i nuovi occupati del mese di giugno possano ammontare a 100 mila unità, dopo il debole dato di 54 mila del mese di maggio.
Il mercato del lavoro appare l’anello ciclico nevralgico in questa fase in cui, mancando una sua velocità al rialzo, il mercato immobiliare stenta a ripartire. Soltanto un mercato del lavoro in veloce accelerazione potrebbe instillare un recupero in alto dei prezzi delle case. Tuttavia la debolezza macroeconomica ha creato una maggiore rischiosità sull’outlook tanto degli utili societari quanto dei fatturati, tanto più che il ratio di debito pubblico/GDP attualmente al 95% (considerando soltanto il debito legale) rischia di andare a 111% in caso di innalzamento del tetto legale di debito pubblico, legando le sorti della politica economica alla necessità di maggiore austerità.
L ’agenzia di rating Standard & Poor’s ha fatto sapere che, qualora il debt -ceiling non fosse innalzato, abbasserebbe il sovereign-rating USA da “Tripla-A” a “D” (default). “Noi crediamo che il debt-ceiling sarà innalzato e che il governo dunque non defaulterà”, ha detto John Chambers, chairman del sovereign-rating committee di S&P. Moody’s invece ha fatto sapere che in mancanza di un rialzo del debt -ceiling porterebbe il sovereign-rating degli USA nella fascia di “Doppia-A”.
Il Parlamento greco con non poche apprensioni in data 29 giugno ha dato il via libera, con 155 voti a favore, 138 contrari e 5 astenuti su un totale di 298 votanti, al nuovo piano quinquennale di austerità di Atene per circa 78 Bln €. Con l’approssimarsi della votazione finale ma soprattutto subito dopo la pubblicazione del suo esito la tensione sul debito sovrano dei Paesi più indebitati dell’area euro è andata allentandosi. Fermo resta che in relazione alla solvibilità a lungo termine della Grecia ci sono ancora molteplici rischi.
La strada per superare la crisi della Grecia è però ancora lunga. Il premier greco Papandreou l’ha detto esplicitamente: “il voto parlamentare a favore era cruciale, ma abbiamo ancora da superare molte battaglie difficili”. Dopo i massimi dal 1999 raggiunti nei giorni scorsi sopra i 220 punti, i premi di rendimento decennali dell’Italia contro Germania sono scesi a 183 punti base. In calo anche i “credit-default swap” quinquennali, a +178 punti. Spread in calo anche per il Portogallo a 791 bps (-64 bps), la Grecia a 1.330 bps (-65 bps), la Spagna a 235 bps (-50 bps) e l’Irlanda a 859 bps (-55 bps). I “cds” sono scesi a +750 punti per il Portogallo, a +2 57 per la Spagna, a +7 28 per l’Irlanda e a +1.888 per la Grecia. La Cina, credendo nell’euro e nell’economia dell’Unione Europea, si è dichiarata disposta a dare una mano all’Europa per far fronte alla crisi del debito sovrano.
La Cina è pronta a investire in alcuni di quei Paesi più deboli dell’eurozona, perché per essa è importante per l’equilibrio mondiale stabilizzare e sviluppare l’economia dell’Unione europea. La Cina quindi acquisterà certamente, a seconda della necessità, una certa quantità di debito sovrano. Nel frattempo il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, ha dichiarato che
l’Eurotower è in una fase di forte vigilanza, lasciando così intendere che i tassi d’interesse potrebbero essere aumentati di nuovo nella riunione di politica monetaria in agenda la prossima settimana.
Negli ultimi giorni sono andati infittendosi i colloqui con le banche per il rollover volontario del debito greco in scadenza. Il governo di Berlino e le banche hanno raggiunto un accordo per una partecipazione “volontaria ma sostanziale” degli istituti di credito alla ristrutturazione del debito greco fino al 2014.
Il contributo delle banche tedesche sarà pari a circa 3,2 miliardi di euro a fronte di un’esposizione complessiva, in termini di titoli di stato greci in portafoglio, pari a circa 10 miliardi di euro. L’intesa raggiunta rappresenta un passo importante, perché apre la strada agli accordi che dovranno essere conclusi a livello nazionale sulla partecipazione dei creditori privati al nuovo pacchetto di aiuti di 80 – 110 miliardi di euro che ora Ue e Fmi dovrebbero mettere a punto entro la metà di settembre. La questione è stata comunque affrontata sabato 2 luglio dai ministri delle Finanze dell’Eurogruppo in via teleconferenza. L’eurogruppo ha dato il via libera a 8,7 Bln € cui vanno aggiunti 3,3 Bln € del Fmi, per un totale di 12 Bln €.
Nell’occasione è stato approfondito lo stato dei negoziati in corso su questo fronte in molti Paesi europei. Un giro in cui sono coinvolti anche i principali gruppi bancari italiani, sebbene presentino un’esposizione sulla Grecia contenuta, nell’ordine di qualche centinaio di milioni di euro. La settimana si è rivelata cruciale anche per il nostro Paese. Il Consiglio dei Ministri ha difatti dato il via libera ad una manovra che avrà un impatto complessivo da 47 Bln € da qui al 2014 (1,5 Bln € per il 2011, 5,5 Bln € per il 2012, 40 Bln € nei due anni successivi equamente distribuiti).
Numeri che sottolineano come il grosso della manovra sarà focalizzato sul biennio 2013-2014. Ricordiamo che a fine 2010 il debito dell’Italia si è attestato a 1.843 Bln €, in aumento di 79,2 Bln € rispetto al 2009, per un ratio Debt Govt/GDP del 119% (+2,9 punti nell’ultimo anno) e Deficit/GDP di -4,6%. L’obbligazionario tedesco, che nell’ultimo periodo ha beneficiato delle vicissitudini dei Paesi “PIGS”, nell’ultima settimana è stato venduto con la curva dei rendimenti in salita di 18-30 bps. Il voto favorevole al pacchetto di misure proposto dovrebbe dare agli investitori un po’ di ottimismo permettendo di concentrarsi maggiormente sulle aziende e gli utili al posto dell’ambiente geopolitico.
Il mercato dei titoli di stato americani ha chiuso la settimana arretrando e perdendo parte del terreno guadagnato negli ultimi 2 mesi, sulla scia di un profit -taking coinciso peraltro con la fine del “QE2”. La mano in acquisto della Federal Reserve sul treasury-market risulta da qui in poi meno solida. Terminati gli acquisti di ben 600 miliardi di dollari di treasuries, comprati nel periodo novembre-2010/giugno-2011, sulla base di un ritmo di circa 50 miliardi di dollari mensili, la Federal Reserve sarà impegnata in acquisto di treasuries ad un ritmo mensile stimato di 12-16 miliardi di dollari.
Ma l’arretramento del mercato dei governativi americani è dipeso anche da qualche dato macroeconomico che ha dato maggiore credibilità alle parole spese dalla Federal Reserve in materia di outlook nei comunicati nell’ultimo Federal Open Market Committee. Le “pending-home-sales” (future vendite di case esistenti) ed il Chicago-PMI hanno battuto le stime, tornando a dare la sensazione di maggiore crescita. Tuttavia si tratta soltanto di alcuni dati molto parziali, in un contesto in cui la rassegna macro americana nelle 6 settimane precedenti all’ultima ha mostrato un rallentamento della crescita su quasi tutti i fronti.
A non aver prodotto recupero dai bassifondi solcati con la crisi è soltanto il mercato immobiliare che la Federal Reserve ha giudicato in seno al FOMC come “depresso. Sebbene dunque rimangano gli alert sulla crescita macroeconomica, mentre l’inflazione risulta più elevata tranne che sul mercato immobiliare dove i prezzi continuano a cadere. Intanto continuano le tensioni politiche a Washington. L’indecisionismo politico in cui il parlamento americano si è impantanato relativamente alla questione del rialzo del tetto legale di debito pubblico (debt-ceiling) posto a 14,29 trillioni di dollari fa affiorare del nervosismo.
Il governo americano ha proposto un rialzo del debt-ceiling da 2,4 trillioni di dollari da approvare entro la data del 2 agosto. Barack Obama, il presidente degli USA, ha ammonito il parlamento, dichiarando che le conseguenze di un mancato rialzo del debt-ceiling sarebbero significative ed incalcolabili. La Standard & Poor’s ha fatto sapere che, qualora il debt -ceiling non fosse innalzato, abbasserebbe il sovereign-rating USA da “Tripla-A” a “D” (default). “Noi crediamo che il debt-ceiling sarà innalzato e che il governo dunque non defaulterà”, ha detto John Chambers, chairman del sovereign-rating committee di S&P. Moody’s invece ha fatto sapere che in mancanza di un rialzo del debt-ceiling porterebbe il sovereign-rating degli USA nella fascia di “Doppia-A”.
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