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Investimenti e mercati

Report sui mercati finanziari

Sospiro di sollievo… Manovra approvata e stress test positivi ! Con la pubblicazione degli stress test sulle banche, e sia pure con le cattive notizie che questi hanno portato per alcuni istituti, il mondo della finanza internazionale ha finalmente levato dal proprio orizzonte un importante elemento di incertezza che ne condizionava il cammino.

Con la situazione del debito europeo ancora in pieno divenire e con i segnali di rallentamento dell’economia che giungono da piu’ fronti, persino dalla Cina che comunque ha continuato a macinare un prodigioso +9,5% nel secondo trimestre, i mercati possono tornare ora a concentrarsi sull’andamento della congiuntura avendo una maggiore visibilita’ sul reale stato di salute delle banche. A questo riguardo va peraltro notato che le prime trimestrali bancarie riportate negli Stati Uniti, quelle di Jp Morgan e Citigroup, hanno per il momento sorpreso in positivo e delineato in generale un miglioramento della situazione del credito. Sul fronte macro, la settimana ha portato importanti novita’ con i primi rallentamenti dell’inflazione dopo mesi di continui rialzi causa la corsa delle commodities. Sul piano della politica monetaria, il governatore della Fed Ben Bernanke ha confermato che tutte le opzioni restano sul tavolo per fornire all’occorrenza un nuovo stimolo all’economia ma ha precisato che al momento non vi e’ alcuna reale discussione al riguardo. Una precisazione questa che e’ venuta nel secondo giorno di testimonianze di Bernanke al Congresso dopo che sui mercati era gia’ scattata l’attesa per un nuovo quantative easing.

Da europeo, la cosa più irritante in questa crisi dei debiti sovrani è il coro di polemiche che arriva dagli Stati Uniti. Si rammaricano gli operatori di Wall Street che la borsa (la loro) non sale, che il pessimismo è imperante e che tutto questo disagio è causa delle disgrazie del Vecchio continente. Da italiano si trova la cosa ancor più fastidiosa, perchè buona parte delle vendite che hanno afflitto nelle ultime settimane Piazza Affari e falcidiato le quotazioni dei Btp e dei titoli finanziari sono arrivate da Oltreoceano. Anche in una giornata relativamente tranquilla come venerdi, con Wall Street che tenta di salire in apertura, nonostante il calo di fiducia tra i consumatori e la perdurante recessione nell’attività manifatturiera di New York, puntuali arrivano le vendite degli investitori americani. Alle 15.30 iniziano a scendere le quotazioni dei titoli bancari (quelle di UniCredit perdono quasi 3 punti percentuali) e tornano a salire i rendimenti dei Btp.

E aggiungono gli operatori di Wall Street che, se non fosse per i problemi dei debiti sovrani europei (e anche per quella spinosa questione del tetto sul debito pubblico americano che deve andare a posto entro il 2 agosto), la borsa avrebbe motivi per essere ottimista, come dimostrerebbero i risultati migliori delle attese di JP Morgan e Citi. È una falsità macroscopica. Intendiamoci: è vero che le trimestrali delle due banche hanno di poco battuto il consenso, ma si tratta di previsioni che nell’ultimo mese erano state bruscamente tagliate dagli analisti.
E cosa ha fatto nel frattempo il settore bancario di Wall Street?

È rimasto immobile, mentre quello europeo ha perso il 6,5% e le povere banche di Piazza Affari sono crollate del 13%. Negli ultimi 5 mesi parecchie cose sono cambiate: vi sono state violente proteste e mezze rivoluzioni in Nord Africa e Medio Oriente (e il petrolio è volato a massimi di periodo e vicino a quei massimi il Brent ci è tuttora); c’è stato il disastro giapponese ed è esplosa la crisi dei debiti sovrani in Europa. Infine, ha rallentato fino a sfiorare la stagnazione l’attività economica negli Usa. È vero, ripetevano gli operatori di Wall Street, ma gli utili sono in solida crescita e giustificano le quotazioni. Quindi, è tutta colpa dei debiti sovrani? Dopo aver visto l’apprezzabile risposta delle autorità e dei politici europei e, soprattutto, la pronta reazione del mondo politico italiano (governo e opposizione) che ha saputo approvare in pochi giorni una rigorosa legge finanziaria, si ha l’impressione che una larga fetta degli investitori d’Oltreoceano sui mali reali e presunti dell’Europa e dell’Italia ci stia giocando al di là di ogni ragionevole considerazione.

LE BORSE : Passando ai numeri, i listini europei hanno chiuso tutti in territorio negativo la settimana; infatti troviamo Parigi che con il suo Cac40 ha perso il 4,8% mentre Francoforte con il Dax30 (-2,54%) ed infine Londra con il suo Ftse100 (-2,50%). A livello settoriale dobbiamo segnalare in denaro il settore automotive (+1,06%), seguito  da quello health care (+0,29%) mentre in lettera dobbiamo segnalare il settore tech (-7,49%), seguito da quello assicurativo (-7,48%) ed infine quello bancario (-6,28%). Fra i principali titoli dobbiamo segnalare in nero Bmw (+6,07%), Daimler (+1,68%) e Sanofi Aventis (+0,22%), mentre in rosso dobbiamo segnalare Axa (-10,66%), Credit Agricole (-10,49%) ed infine Nokia (-10,01%).

L’ITALIA :
Piazza Affari chiude la settimana con un ribasso del nostro indice, trainato al ribasso ed oramai non è più una novità dal comparto bancario zavorrato dalle vendite, soprattutto dopo l’apertura di Wall Street dove gli operatori sembrano divertirsi con pesanti short sul comparto bancario italiano. Come detto in apertura di report, questa è stata la settimana dell’approvazione della manovra finanziaria che ha rimodulato l’imposta di bollo sui conti di deposito, eliminando l’evidente penalizzazione che, come avevamo evidenziato nello scorso numero, avrebbero ricevuto i risparmiatori con capitali ridotti. In particolare l’imposta con periodicità annuale sarà di 34,2 euro per importi inferiori ai 50mila euro; 70 euro per importi pari o superiori a 50mila euro e inferiori a 150mila euro; 240 euro per importi pari o superiori a 150mila euro e inferiori a 500mila euro; 680 euro per importi pari o superiori a 500mila euro. Inoltre, a partire dal 2013 l’imposta con periodicità annuale sarà di 230 euro per importi pari o superiori a 50mila euro e inferiori a 150mila euro, di 780 euro per importi pari o superiori a 150mila euro e inferiori a 500mila euro e di 1.100 euro per importi pari o superiori a 500mila euro. E’ certamente un contributo importante che il mondo dei risparmiatori fornisce per "mantenere i conti pubblici in ordine" e sarebbe auspicabile che tali sacrifici siano fatti anche da altre categorie che godono di privilegi inaccettabile e consolidati da anni. Chiudendo questa piccola parentesi, la settimana si è chiusa con un ribasso dello Ftse/Mib (¬-3,15%), terminando le contrattazioni a 18450 punti.

Da un punto di vista tecnico il quadro di breve periodo resta fortemente negativo e soltanto il ritorno delle quotazioni sopra i 18700 punti potrebbe offrire un primo slancio rialzista e proiettare l’indice verso l’area dei 19000 punti; di contro il mancato approdo in area 18.700 darebbe luogo ad una pericolosa ed ampia gamba ribassista che proietterebbe l’indice dapprima verso l’area dei 18.000 punti e poi in seguito sui minimi registrati in avvio di ottava in area 17.400, senza escludere estensioni ribassiste fin verso i 17.000 punti. Fra i titoli maggiori  dobbiamo segnalare in denaro Pirelli (+3,66%), Luxottica (+2,11%) e Saipem (+1,76%) mentre in lettera, invece, dobbiamo segnalare Parmalat (-12,52%), Buzzi Unicem (-9,59%) ed infine Mediolanum (-9,05%).

AMERICA : Per quanto riguarda il mercato azionario americano, è stata un’ ottava di alta tensione, dovendo convivere con newsflow dipanatisi all’insegna della volatilità sul fronte dei rischi del debito sovrano, ma alla fine Bernanke, il presidente della FED, ha teso una mano a Wall Street, consentendole di reggere al di sopra di dati livelli. Bernanke in occasione del Semiannual Monetary Policy Report al Congresso ha per la prima volta avanzato l’ipotesi eventuale futura di procedere ad un’ulteriore azione di quantitative-easing (espansione della base monetaria) affermando che “qualora l’attuale debolezza economica dovesse risultare più persistente di quanto atteso e qualora i rischi di deflazione dovessero riemergere, vi potrebbe essere la possibilità di un addizionale supporto di politica monetaria”. Bernanke non ha nascosto la possibilità dunque di operare se necessario un “QE3” o un incremento ulteriore degli attivi della Federal Reserve in forme diverse.
 
La possibilità che il “QE3” possa materializzarsi sul campo ha delle implicazioni macroeconomiche e di mercato abbastanza note e più o meno simili a quelle viste durante i precedenti QEs. Tuttavia l’eventuale innesto di un altro “QE” nella seconda parte del 2011 sarebbe diverso da quelli precedenti in quanto non affiancabile come avvenuto in passato da una politica keynesiana espansiva, alla luce del fatto che il governo americano appare costretto al riequilibrio fiscale. La mossa verbale di Bernanke appare in un certo qual modo disperata, sapendo il governatore centrale che il pericolo di un’eventuale espansione ulteriore degli a ttivi della Federal Reserve sarebbe quello della stagflazione.

 Non è un caso che il mercato abbia risposto ricomprando le materie prime da cui dipendono i costi degli inputs e a cascata i margini operativi societari. Ne sanno qualcosa in materia le case di rating che in settimana si sono fatte sentire. L’agenzia di rating internazionale Moody’s Investors Service ha posto sotto osservazione il sovereign-rating degli Stati Uniti di tipo “Tripla-A”, con l’intenzione di downgradarlo qualora il tetto legale di debito pubblico ora a 14,29 trillioni di dollari non sarà innalzato nell’immediato. A ruota si è mossa la Standard &Poor’s. I vertici governativi americani stanno lavorando intensamente sul piano politico per ottenere dal parlamento l’innalzamento del tetto legale di debito pubblico posto ora a 14,29 trillioni di dollari e superato già in data 16 maggio. Il ministro del Tesoro Timothy Geithner ha dichiarato che potrà procedere ad assolvere ai pagamenti governativi non oltre la data del 2 agosto in assenza di un rialzo del “debt-ceiling” (tetto legale di debito pubblico). Il governo avrebbe intenzione di far passare un rialzo da 2,4 trillioni di dollari, per un tetto legale nuovo posto a 16,7 trillioni di dollari potenzialmente pari all’111% del GDP nominale attualmente in auge.

Mentre Moody’s intenderebbe downgradare il sovereign-rating americano in mancanza di uno sblocco della diatriba sul “debt-ceiling” andando a seguire la traiettoria del debito pubblico americano nel lungo-termine, Standard & Poor’s non molto tempo addietro aveva dichiarato che in caso di non pagamento anche di una singola “bolletta” governativa porterebbe il sovereign-rating americano direttamente dal livello di “AAA” a quello di “D” (default).

Nell’ambito di una maggiorata percezione del rischio sistemico negli USA,una nota di sollievo a livello globale la forniscono senz’altro i numeri di JPMorgan. Affinchè il mercato azionario mondiale riesca a muoversi secondo canoni che si ispirino alla normalità è necessario che i grossi players bancari statunitensi riescano a riportare risultati reddituali all’insegna della positività. Si tratta infatti di realtà a leva. JPMorgan ha riportato 1,27$ di EPS a fronte degli 1,21$ attesi dal mercato, sebbene gli utili per azione non siano nell’attuale contesto di grosso ausilio alla luce della loro potenziale elevatissima volatilità derivante da motivazioni impiantistico-sistemiche. Anche il gigante di Mountain View in California, la Google, ha riportato EPS superiori a quelli stimati (8,74$, contro i 7,85$ attesi), confermando il suo stato di crescita operativa. Tuttavia il sentiment di fondo che anima gli analisti a Wall Street a questo giro è impostato non tanto sull’idea che anche in questo quarto si riesca a parlare di un “beating-estimates” (battere le stime), quanto piuttosto che si riesca quantomeno a discorrere di un “meeting-estimates” (raggiungere le stime).

Nel suo ultimo bollettino mensile la Bce ha dichiarato che l’orientamento della politica monetaria nell’area euro rimane “accomodante” e sostiene l’attività economica e la creazione di posti di lavoro e che gli ultimi indicatori macroeconomici hanno segnalato una perdurante espansione dell’economia dell’area nel secondo trimestre di quest’anno, seppure a ritmi più contenuti. La Bce rileva anche che a giugno c’è stato un significativo flusso di investimenti-rifugio dovuto alle incertezze sul programma di risanamento della Grecia e alle prospettive di una ristrutturazione del debito. I timori di una propagazione della crisi ad altri Paesi dell’area euro oltre Grecia, Irlanda e Portogallo come Italia e Spagna hanno continuato a pesare sul clima di mercato. Il rendimento del titolo di Stato a 10-anni italiano ha superato la soglia del 6% per la prima volta dal 2008, arrampicandosi fino al 6,016% facendo allargare lo spread con il Bund fino a +348 punti base, ai massimi dalla nascita dell’euro. La settimana si è chiusa con il rendimento decennale italiano al 5,76% per uno spread ITA-GER a +306 bps, in rialzo di 62 bps.
 
L’agenzia di rating Moody’s, dopo il pesante affondo della speculazione che ha interessato l’Italia, è accorsa in difesa del nostro Paese promuovendo la manovra correttiva e dichiarando che l’impennata dei rendimenti dei titoli di Stato non riflette i fondamentali del credito ma una crisi di fiducia e sottolineando che anche a fronte di un rialzo dei rendimenti decennali al 7% non sarà compromesso il processo di graduale riduzione del debito pubblico. Il debito dell’Italia salirebbe da circa il 4% di oggi al 5,5% entro il 2015 e il pagamento degli interessi sarebbe di 110 miliardi di euro, pari al 6,1 % del Pil, contro i 75 miliardi di euro, pari al 4,8% del Pil, previsti per il 2011. Il debito pubblico italiano non si trova su un percorso insostenibile anche nel caso in cui la crescita del Paese dovesse continuare ad essere debole e gli interessi per finanziarsi sui mercati dovessero aumentare leggermente.

In tensione anche i titoli di Stato spagnoli. Il rendimento del decennale si è spinto fino ad un massimo di 6,307% per poi archiviare gli scambi al 6,07% con lo spread SPA-GER a +338 bps, in rialzo di 53 bps. In allargamento anche lo spread tra il decennale degli altri Paesi PIGS e quello tedesco. L’agenzia di rating Moody’s ha tagliato il rating del debito sovrano dell’Irlanda di un gradino a “junk” portandolo da “Baa3 “ a “Ba1” mantenendo un outlook negativo. Il Paese potrebbe avere bisogno di nuovi aiuti finanziari prima di poter tornare sul mercato privato quando l’attuale programma di aiuti dell’Ue e del Fmi terminerà. La decisione di rivedere il rating dipende anche dalla crescente possibilità di una partecipazione dei creditori del settore privato come precondizione per ulteriori aiuti dall’Europa. L’agenzia di rating è consapevole del forte impegno dell’Irlanda nel risanamento fiscale ma ritiene che restino rischi significativi nell’attuazione del piano, soprattutto considerando le continue debolezze dell’economia irlandese. Quanto alla Grecia, l’agenzia Fitch ha fatto calare nuovamente la scure sul rating di Atene con una bocciatura a “CCC” da “B+”.

Secondo il Fmi il Pil della Grecia si contrarrà del 3,9% nel 2011 prevedendo un suo ritorno sui mercati del debito nel 2014 e il governo di Atene avrebbe bisogno di ulteriori aiuti europei per 71 miliardi di euro e di una partecipazione del settore privato per 33 miliardi di euro, per assicurare la stabilità del debito.  Di contro il mercato obbligazionario tedesco, considerato sempre più dagli investitori un asset “free risk”, ha continuato a beneficiare delle vicissitudini altrui venendo premiato nelle scelte d’investimento. La curva dei rendimenti è scivolata verso il basso di 11-24 bps con il decennale al 2,7 0% dopo aver toccato intraweek al 2,50% i minimi del 2011.

In settimana l’agenzia di rating internazionale Moody’s Investors Service ha posto sotto osservazione il sovereign-rating degli Stati Uniti di tipo “Tripla-A”, con l’intenzione di downgradarlo qualora il tetto legale di debito pubblico ora a 14,29 trillioni di dollari non sarà innalzato nell’immediato entro la data del 2 agosto. I vertici governativi americani stanno lavorando intensamente sul piano politico per ottenere dal parlamento l’innalzamento del tetto legale di debito pubblico posto ora a 14,29 trillioni di dollari e superato già in data 16 maggio. Il ministro del Tesoro Timothy Geithner ha dichiarato che potrà procedere ad assolvere ai pagamenti governativi non oltre la data del 2 agosto in assenza di un rialzo del “debt-ceiling” (tetto legale di debito pubblico).

Il governo avrebbe intenzione di far passare un rialzo da 2,4 trillioni di dollari, per un tetto legale nuovo posto a 16,7 trillioni di dollari potenzialmente pari all’111% del GDP nominale attualmente in auge. Mentre Moody’s intenderebbe downgradare il sovereign-rating americano in mancanza di uno sblocco della diatriba sul “debt-ceiling” andando a seguire la traiettoria del debito pubblico americano nel lungo-termine, Standard & Poor’s non molto tempo addietro aveva dichiarato che in caso di non pagamento anche di una singola “bolletta” governativa porterebbe il sovereign-rating americano direttamente dal livello di “AAA” a quello di “D” (default).

La percezione è dunque che in mancanza di un rialzo del “debt-ceiling” gli USA possano andare incontro ad un “default” tecnico da valutare inizialmente come temporaneo.  Intanto Bernanke, il presidente della Federal Reserve, in occasione del Semiannual Monetary Policy Report al Congresso ha per la prima volta avanzato l’ipotesi eventuale futura di procedere ad un’ulteriore azione di quantitative-easing (espansione della base monetaria). Bernanke ha dichiarato che “qualora l’attuale debolezza economica dovesse risultare più persistente di quanto atteso e qualora i rischi di deflazione dovessero riemergere, vi potrebbe essere la possibilità di un addizionale supporto di politica monetaria”. Bernanke non ha nascosto la possibilità dunque di operare se necessario un “QE3” o un incremento ulteriore degli attivi della Federal Reserve. Le parole spese da Bernanke aprono uno scenario diverso rispetto a quanto visto fino ad ora nelle ultime settimane. La Federal Reserve di fatto non aveva mai ufficialmente messo in agenda la possibilità di una terza ondata di “quantitative-easing” prima d’ora. La possibilità che essa possa materializzarsi sul campo ha delle implicazioni macroeconomiche e di mercato abbastanza note e più o meno simili a quelle viste durante i precedenti QEs.  Si ricorda che però qualsiasi azione di “quantitative-easing” implica creazione di liquidità sempre e comunque a monte della catena monetaria in accostamento alle masse debitorie sistemiche nazionali accantonate a-latere del divenire micro-macro.