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S&P, richiamo all’Italia: con
scelte errate rischio Grecia

L’agenzia di rating allerta Roma

Al momento per l’Italia non c’è “uno scenario da crisi del debito pubblico. Tuttavia in uno scenario alternativo in cui i policymaker perseguano soluzioni non ortodosse – come l’introduzione di una valuta parallela o di misure di bilancio senza copertura finanziaria, per eludere i vincoli fiscali stabiliti dai trattati Ue – l’adesione dell’Italia all’area Euro potrebbe essere messa in discussione. In extremis, potrebbe verificarsi una nuova crisi di fiducia come quella avvenuta in Grecia nel giugno 2015“. Cosi S&P in un report sull’andamento dei rating dei Paesi Ue.

“Dopo aver vinto le elezioni parlamentari del marzo 2018 – scrive S&P nel suo report sui Paesi dell’Eurozona – l’attuale coalizione di governo ha velocemente congelato le modeste iniziative di riforma e ha iniziato a contrastare la Commissione Europea nel suo mandato di vigilare sull’osservanza da parte degli Stati membri della regolamentazione fiscale dell’Unione”. “Una controversia aperta tra il governo di un paese e le istituzioni europee” prosegue il report, ha effetti ‘a catena’ anche “sul settore privato dell’economia, comprese le basi di finanziamento del sistema bancario di un paese. Questo è stato il caso della Grecia, un’economia molto più piccola (meno del 2% del Pil della zona Euro) nel giugno 2015. La questione è se sarà lo stesso anche per un’economia molto più grande come l’Italia, che rappresenta il 15% del Pil dell’Eurozona”.

Dopo avere ricordato l’alto debito italiano e il fatto che all’interno dell’Unione monetaria non è possibile utilizzare la svalutazione per garantirne la sostenibilità, ma solo la leva della crescita, S&P osserva quindi che “la crescita debole e l’incapacità dei policymaker di affrontarla spiegano le prospettive negative per il rating sovrano italiano. Perché la crescita in Italia è stata così bassa? In primo luogo, i prestiti bancari hanno subito un forte rallentamento a partire dal 2010. In secondo luogo, la propensione del settore privato italiano al risparmio piuttosto che all’investimento è diventata ancora più marcata”. Quindi “anche se l’economia italiana è molto più ricca di quella greca, le rigidità che caratterizzano il mercato del lavoro e il tessuto produttivo sono simili e frenano l’ingresso di nuovi attori e gli investimenti, con un impatto negativo sulla crescita”.

“Nei prossimi anni prevediamo un lento aumento del debito pubblico b, accompagnato da un’ulteriore riduzione della leva finanziaria nel settore privato. Riteniamo che l’economia ristagnerà nel 2019 prima di riprendersi l’anno prossimo (0,6%). A nostro avviso, questo non è uno scenario da crisi del debito pubblico”. Ma se si perseguissero “soluzioni non ortodosse” si potrebbe materializzare anche per l’Italia un ‘rischio Grecia’, “una nuova crisi di fiducia” come quella di Atene “nel giugno 2015, ma in un paese membro dell’Unione Europea molto più grande e con maggiore rilevanza sistemica”.