Una dichiarazione forte, quella del presidente dell’Eurogruppo Jean Claude Juncker in occasione della sua ultima audizione a Bruxelles, quando rilancia l’idea, già in discussione in Parlamento europeo da qualche tempo, di un salario minimo in tutti i Paesi a salvaguardia della credibilità di tutta l’eurozona. Affermazioni nate dalla constatazione che la disoccupazione, superiore all’11% in Europa, è un problema che è stato «sottovalutato». Ma non tutti i leader europei, politici o sindacali, si sono ritrovati nella proposta di Juncker.
Le reazioni della sinistra italiana. Se da un lato il leader di Sel, Nichi Vendola, appoggia la tesi di Juncker sostenendo come il suo partito da tempo chieda«il reddito minimo garantito contro la solitudine di una generazione prigioniera dell’ergastolo della precarietà e disoccupazione»; dall’altro Carlo Dell’Aringa, da più parti indicato come possibile ministro del Lavoro di un eventuale governo Bersani, chiarisce: «l’analisi è condivisibile, ma non è la ricetta giusta per l’Italia». Infatti, questa proposta, secondo l’ex ministro Cesare Damiano (PD) «dovrebbe rientrare tra le priorità di un governo a guida progressista, ma prima è necessario rivedere le riforme Fornero»
Il contratto nazionale, uno strumento insostituibile.«Penso che la proposta di un salario minimo europeo sia assolutamente coerente con un’ipotesi che c’è, e noi non condividiamo, dentro la Commissione Ue, cioè quella di non avere contratti nazionali, ma al massimo la contrattazione di secondo livello. Come è noto, noi pensiamo che il contratto nazionale sia uno strumento insostituibile». Così la leader Cgil, Susanna Camusso critica – a margine di un convegno a Milano – la proposta lanciata ieri dal presidente uscente dell’Eurogruppo, di introdurre un salario minimo europeo a fronte della grave crisi occupazionale.