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Economia e Dintorni

Il Terzo Settore in Italia: tra resilienza e obiettivi di sostenibilità

Attraverso l’operato di circa 360mila organizzazioni con oltre 860mila dipendenti e 5 milioni di volontari, il Terzo Settore si è dimostrato, prima, durante e dopo la pandemia, un pilastro essenziale del welfare e della coesione sociale in Italia, della cittadinanza democratica e della partecipazione; nonché del lavoro. Tra il 2011 e il 2019 – periodo in cui l’occupazione nel Terzo Settore è aumentata dieci volte di più che negli altri comparti – il 27,6% della crescita occupazionale in Italia, infatti, è stata generata dal no-profit che ha impiegato soprattutto giovani e donne (il 72% della forza lavoro).

Cos’è e di cosa di occupa il Terzo Settore in Italia

Viene definito “Terzo Settore” l’insieme di enti di carattere privato che agisce in diversi ambiti: dall’assistenza ai soggetti con disabilità alla tutela dell’ambiente, dai servizi sanitari e socio-assistenziali all’animazione culturale”. Spesso tali enti gestiscono servizi di welfare istituzionale e sono presenti per la tutela del bene comune e la salvaguardia dei diritti negati.

Le attività svolte dal Terzo Settore sono senza scopo di lucro e hanno per lo più finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e, in attuazione del principio di sussidiarietà e in coerenza con i rispettivi statuti o atti costitutivi, promuovono e realizzano attività di interesse generale mediante forme di azione volontaria e gratuita, di mutualità o di produzione e scambio di beni e servizi.

Il Terzo Settore esiste da decenni e – soprattutto dopo la grande crisi del 2008 – il suo ruolo è diventato fondamentale per il conseguimento degli obiettivi di supporto alla persona proprio laddove le istituzioni non riescono ad arrivare. Giuridicamente è stato riconosciuto in Italia solo nel 2016, con l’avvio della relativa Riforma (legge delega 106/2016) che ne definisce i confini e le regole di funzionamento.

La resilienza del Terzo Settore in Italia dopo la pandemia

L’universo del no-profit italiano è stato resiliente” – è questa la fotografia che viene fuori dal report di Banca Etica intitolato “Il Terzo Settore in Italia dopo la pandemia” e presentato alla Camera dei deputati lo scorso 7 luglio. L’indagine prende in analisi il Terzo Settore italiano alla fine del 2021 e ne descrive dinamiche quantitative e qualitative grazie a una ricognizione organica dei dati ufficiali dell’ISTAT, di Banca d’Italia e di altri enti di ricerca. Inoltre, interpella (con questionari e interviste) i protagonisti del no-profit italiano, dai quali proviene un’analisi vista dall’interno e qualche ipotesi sul futuro del settore.

Dall’indagine emerge la valorizzazione di una forza socio-economica vitale di questo Paese, il Terzo Settore appunto, che durante la crisi causata dalla pandemia ha creato lavoro e organizzato le risorse del volontariato, ha erogato servizi essenziali e sviluppato reti e relazioni chiave tra società e Pubblica Amministrazione, dimostrando di essere in grado di trasformarsi e di resistere agli stravolgimenti recenti anche meglio del settore profit. Molti dirigenti intervistati, ad esempio, hanno messo in luce la capacità di innovazione degli enti del Terzo Settore oltre che una sostanziale fiducia nel futuro che ne prospetta uno sforzo di evoluzione strategica e operativa.

I dati ISTAT su entrate e distribuzione del Terzo Settore in Italia

Alla luce di questo sentiment positivo sul futuro del Terzo Settore, come si può intervenire per crescere ulteriormente? Il fattore mancante che si rileva è una maggiore equità nell’accesso agli strumenti finanziari. Guardando gli ultimi dati ISTAT disponibili sui bilanci delle organizzazioni del Terzo Settore (2015), ciò che salta subito all’occhio è una disparità tra distribuzione delle organizzazioni e volumi delle entrate nelle diverse aree del Paese: le regioni del Nord-Ovest ospitano il 27% delle organizzazioni, le quali beneficiano del 35% delle entrate complessive; al Centro queste percentuali diventano 22% e 33,6%; al Sud si passa al 17% di enti che gode appena del 7% delle entrate. Poche risorse per alcuni, quindi, in un comparto noto per la bassa patrimonializzazione media.

Dunque, l’accesso al credito è un fattore determinante di sviluppo e sopravvivenza per gli enti del Terzo Settore soprattutto in relazione al fatto che, pur considerando le forti differenze tra enti, la prima voce per le entrate è rappresentata dai contributi pubblici (28,6%); seguono poi quelli annui degli aderenti (27,3%) e i proventi dalla vendita di beni e servizi (22,9%); in misura minore troviamo i ricavi da gestione finanziaria (8%).

Il Terzo Settore in Italia: quali opportunità di crescita per il no-profit?

E in Italia quale rapporto esiste tra Istituzioni ed enti del Terzo Settore e quali le opportunità offerte? A quanto emerge dalle interviste e dai questionari dell’indagine, il PNRR viene percepito come un’occasione da non perdere. Allo stesso tempo, è fondamentale anche bilanciare la distribuzione dei contributi del 5 per mille che, attualmente, risultano frammentati e polarizzati: 5 regioni (Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Piemonte, Veneto) assorbono il 74% delle risorse disponibili tramite il 5 per mille e le prime 100 organizzazioni (lo 0,15% del totale) capitalizzano quasi il 47% della raccolta dei fondi (oltre il 27% va alle sole prime 10). Il 92% delle organizzazioni raccoglie meno di 10mila euro ciascuna.

Proprio le differenze di competenza e risorse tra gli enti potrebbe, infatti, produrre disuguaglianze nell’accesso ai fondi e nello sviluppo di iniziative. Soggetti come pubbliche amministrazioni o enti privati (dotati di una expertise maggiore) potrebbero avere un vantaggio, con la conseguenza di rafforzare aree ed ambiti di per sé già “forti” a scapito di chi avrebbe pratiche altrettanto buone e radicamento territoriale, ma non possiederebbe infrastrutture progettuali adeguate.

Il Terzo Settore in Italia in prima linea per lo sviluppo sostenibile

A scattare un’immagine degli enti impegnati in uno o più Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (Sustainable Developement Goals), fissati nel programma Agenda 2030 delle Nazioni Unite, è ancora il Forum del Terzo Settore che – con l’edizione 2021 del suo rapporto “Il Terzo Settore e gli obiettivi di sviluppo sostenibile” – ha messo in luce il suo impegno nel raggiungimento dei 17 Goals di sostenibilità. Nell’indagine viene messo in luce il ruolo fondamentale dell’istituto rispetto a questioni centrali e decisive per il Paese, a partire dal contribuire a proporre un modello di sviluppo sostenibile da un punto di vista ambientale, sociale ed economico – perfettamente in linea con quanto definito negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile di Agenda 2030.

Più della metà delle reti nazionali aderenti al Forum è attualmente impegnata nel conseguimento di almeno dieci obiettivi di sostenibilità. Tra le attività più frequenti:

  • L’obiettivo n.11 (Città e Comunità sostenibili).
  • L’obiettivo n.3 (Buona salute e benessere).
  • L’obiettivo n.4 (Istruzione di qualità).

All’ultimo posto, con solo il 15% degli enti del Terzo Settore impegnati in quest’area, c’è l’obiettivo n.6 (Acqua pulita e servizi igienico sanitari).

Un’attenzione particolare è stata riservata ai servizi introdotti dagli enti del Terzo Settore nell’ambito dell’obiettivo n.3, grazie ai quali il no-profit italiano ha dato risposte concrete all’emergenza sanitaria. Anche durante la crisi pandemica, infatti, il Terzo Settore ha saputo trasformarsi e si è dimostrato un modello di presidio e sviluppo sociale vincente: ha creato lavoro e organizzato le risorse del volontariato, ha erogato servizi essenziali e sviluppato reti e relazioni chiave tra società e pubblica amministrazione.

È così dimostrato – ed entrambi i Rapporti (2021 e 2022) ne sono una testimonianza – quanto il Terzo Settore sia cruciale nello svolgere e promuovere servizi di interesse sociale con importanti ricadute occupazionali, creando fiducia e capitale umano indispensabili per lo sviluppo sostenibile della società.